Twitter, la lotta di classe e il finto conflitto tra salari e produttività - HuffPost Italia

2022-06-03 20:46:25 By : Mr. Jayce Zeng

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Dopo i virologi e gli esperti di relazioni internazionali, anche i miei colleghi economisti hanno finalmente cominciato a sfidarsi a singolar tenzone sui social. E così, dopo i sì-vax e no-vax, i filo-russi e i filo-nato, una nuova semplificazione impegna i polpastrelli di esperti e opinione pubblica. In questo caso ci si schiera per spiegare i motivi delle basse retribuzioni medie degli italiani: è colpa degli imprenditori cattivi o dei lavoratori sfaticati?

La polemica ha dei risvolti di politica economica. Non si vuole qui negare, da un lato, che il salario minimo potrebbe contrastare il lavoro povero, né che il reddito di cittadinanza andrebbe modificato correggendone gli effetti di disincentivo all’occupazione. Il problema però è che i livelli medi salariali e la produttività del lavoro non si decidono per legge, non sono variabili indipendenti e non dipendono neanche dalla scarsa moralità di imprenditori o lavoratori. Alla base della bassa crescita dei salari in Italia ci sono due elefanti nella stanza. Il primo è un trentennio di mancati investimenti, pubblici e privati, che ha determinato una domanda di lavoro poco qualificato e poco produttivo. Il secondo è la diminuzione del potere contrattuale dei lavoratori determinata dalla flessibilizzazione del mercato del lavoro. Entrambi i fenomeni si sono rafforzati a vicenda, auto-selezionando un sistema imprenditoriale che ha trovato più comodo puntare sulla via bassa dello sviluppo, quella del risparmio sul costo del lavoro, piuttosto che sulla via alta, quella della competitività di processo e di prodotto, individuale e di sistema. Di chi è la colpa? Forse un po’ di tutti, di un paese che nel complesso ha pensato di poter vivere di rendita, in un’economia destinata, per chi sa quale congiunzione astrale, a rimanere tra le prime del mondo.

Dunque, più che litigare su salari minimi e reddito di cittadinanza, sarebbe il caso di concentrarsi su produttività e potere contrattuale, ovvero investimenti e condizioni di occupabilità dei lavoratori. Sulla prima questione il PNRR offre un’opportunità irripetibile, magari rivedendolo sia alla luce dello sconvolgimento del quadro internazionale che per meglio indirizzarlo verso una domanda di lavoro qualificata e stabile: va bene la fretta di spendere, ma occhio a cosa si finanzia. Altrimenti invece di “mettere a terra” le risorse, si mette a terra il paese. Dall’altro per tornare indietro sulla flessibilizzazione occorre innanzitutto reintrodurre il vincolo di causa per il tempo determinato. Il fallimento del decreto dignità dimostra che il problema non è far durare di meno un contratto a tempo, ma non consentire un contratto a tempo laddove sarebbe giusto un contratto indeterminato. Ma l’intervento legislativo non basta. Il potere contrattuale dei lavoratori si fa anche con l’occupabilità dei lavoratori, ovvero ripensando il sistema di formazione professionale e continua, rendendo i tempi di formazione dei lavoratori un elemento centrale dell’organizzazione del lavoro in impresa.

L’obiettivo è un lavoro più pagato perché più di qualità. Quindi investimenti in capitale fisico e in capitale umano per aumentare rispettivamente la qualità della domanda e dell’offerta di lavoro. Ed è forse proprio questo che il mondo del lavoro, che sta più avanti di noi economisti, già ci chiede. Perché, a guardare bene, si direbbe che la mancanza di offerta di manodopera che si registra nel paese non abbia alla base solo un problema di salario, che esiste, ma anche un problema di qualità del lavoro, delle sue condizioni, delle sue capacità di soddisfare le aspettative dei nostri giovani.

Quanto alla polemica sul conflitto distributivo, bene se serve a stimolare un dibattito, curiosa però la coincidenza che avvenga nell’anno di riedizione, a oltre 40 anni dall’uscita, del gioco da tavolo “Lotta di classe”. Fu un gioco di grande successo, tanto che la seconda edizione sottotitolava “il gioco che fa impazzire l’America”. Dopo però arrivarono Reagan e Thatcher e per i salari non fu più un gioco.

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