Più vendi, più ci rimetti. Il cortocircuito della carta igienica - HuffPost Italia

2022-03-04 08:39:56 By : Ms. Sunny Zhou

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Più vendi e più ci rimetti. Sembra un paradosso ma è la situazione in cui versano le imprese cartarie, alle prese da settimane, come gran parte del mondo industriale, con un rincaro generale dei costi di produzione. “Nel nostro settore una crisi del genere non l’abbiamo mai vista”, dice all’HuffPost Guido Pasquini, uno dei titolari di Lucart Group. “Anche nel 2018 abbiamo assistito a un incremento improvviso dei prezzi delle materie prime, ma tutti gli altri costi erano rimasti nella norma. Ora invece siamo al centro di una tempesta perfetta”. Le materie prime sono schizzate alle stelle, l’energia e il gas pure, i costi di trasporto sono su massimi mai registrati prima. Una situazione inedita dove quasi tutte le componenti della spesa che le aziende sostengono per tenere attive le loro catene produttive sono sottoposte a forte stress. Senza risparmiare l’industria cartaria, e in particolare quella tissue, cioè tutta quella carta destinata all’uso igienico e sanitario sia nelle case private sia nei luoghi pubblici. Sono prodotti di larghissimo consumo, anzi indispensabili, come carta igienica, tovaglie e tovaglioli, fazzoletti, rotoli da cucina. O anche lenzuolini medici, rotoli industriali, veline facciali. 

Situazione complessa, ma soprattutto paradossale. Perché i consumi sono in forte ripresa e le previsioni sono di un andamento sostenuto ancora a lungo, per effetto delle riaperture delle attività industriali e commerciali. Ma la produzione teme ora di non poter soddisfare la domanda. 

Tra aprile e giugno si è registrata una flessione del 5,2% nella produzione che si è intensificata a partire da maggio (-9,3%) e se il caro prezzi continuerà ad affliggere gli approvvigionamenti, le difficoltà di chi fa impresa sono destinate a protrarsi. E non per mancanza di mercato, tutt’altro: “Qui non si parla più di margini ridotti, ma di lavorare sottocosto, cioè di non riuscire a coprire le spese. A queste condizioni, non c’è più interesse a produrre”, prosegue Pasquini, che è anche presidente dell’area Tissue di Assocarta-Confindustria. 

Nonostante il Covid, l’industria cartaria nel 2020 ha fatturato 6,3 miliardi di euro, di cui il 23% generato dal comparto di produzione di carte tissue, per un totale di 8,5 milioni di tonnellate di cui circa il 20% di carta igienico sanitaria. L’Italia è il primo produttore europeo di carte tissue con una quota del 20,4%, più anche della Germania (19,3% a livello Ue). L’intero comparto impiega quasi 19mila dipendenti. 

Le prime criticità arrivano dalla forniture della materia prima. Da fine 2020 a giugno 2021 le cellulose per produrre carta e cartone hanno subito rincari del 60% (fibra lunga Nbsk) e del 70% (fibra corta eucalipto) toccando rispettivamente i 1.350 dollari/tonnellata e 1.150 dollari/tonnellata. Diversificare le forniture non è una strada percorribile perché il mercato dei fornitori di cellulosa è concentrato e consolidato: “Basti pensare che il primo fornitore copre da solo il 50% della produzione globale, praticamente è come comprare le sigarette al monopolio”. Alzare i prezzi potrebbe essere una soluzione ma dall’altra parte della barricata si ha a che fare con gli operatori della grande distribuzione che hanno un enorme potere contrattuale: “Siamo schiacciati in questa morsa”, dice Pasquini.

Non aiuta il caro-bollette in un settore altamente energivoro. Le industrie cartarie fanno girare macchinari a ciclo continuo, impiegando grandi quantità d’acqua. Ma poi la carta va asciugata col vapore prodotto dal metano. “Le nostre industrie da anni si sono portate avanti nel ridurre al minimo le emissioni perché da noi l’energia è sempre costata di più rispetto al resto d’Europa. Per questo da noi l’uso energetico è ottimizzato al massimo. Tutte il vapore residuo che viene prodotto a fini industriali viene poi impiegato per altri scopi, come nel riscaldamento degli ambienti di lavoro in inverno o per raffreddarli in estate dopo apposita conversione”. 

Il mondo delle imprese attende con ansia e timore il 1° ottobre quando scatteranno per tutti i rincari nelle bollette che il Governo ha solo mitigato, ma non annullato. Secondo l’Arera, l’autorità per la regolazione per l’energia, “l’attivarsi della ripresa economica con l’inizio del 2021 ma soprattutto l’evidenza della efficacia della campagna vaccinale hanno determinato una brusca accelerazione in tutti i costi delle materie prime, con variazioni che nel giro di pochi mesi li hanno proiettati decisamente verso massimi storici”. A causa del trend globale dei prezzi, e dei costi di emissione di CO2 in aumento, da venerdì le tariffe cresceranno infatti di quasi il 30% per la luce e di oltre il 14% per il gas, maxi-rincari che avrebbero potuto essere maggiori se non fosse sceso in campo il governo con un intervento da 3,5 miliardi su nove che ne servivano.  L’effetto finale è che una famiglia-tipo spenderà quest’anno circa 631 euro per l’elettricità, con un aumento di circa 145 euro su base annua, e 1.130 euro per la bolletta del gas (+155 euro annui). 

I rincari non risparmiano certo le aziende (salvo sei milioni di piccolissime e piccole imprese), rischiando di minare le attività soprattutto di quelle più energivore. Se ad aprile 2020 il gas veniva a costare sei euro a megawattora, a settembre 2021 siamo a 61 euro a megawattora.  Alla borsa elettrica, nella settimana da lunedì 20 a domenica 26 settembre, il Gme ha registrato un prezzo medio di acquisto dell’energia elettrica (PUN) pari a 172,39 euro. “Pensare di poter sostituire dall’oggi al domani alcune fonti di energia per noi è impensabile, ci vorrebbero almeno dieci anni”, dice il presidente di Assocarta tissue. “L’ambientalismo è d’obbligo per chi lavora nel nostro settore perché ci permette prima di tutto di risparmiare sui costi. Tant’è che il primo prodotto italiano ad aver ricevuto la certificazione europea Ecolabel, è stato un prodotto cartario tissue nel 1998. La carta da tempo ha superato e di molto i target Ue sul riciclo”. Anche perché di materia prima in Italia non ce n’è, e quindi il settore si è trovato giocoforza a ingegnarsi per trovare fonti alternative, come lo sfruttamento dei materiali da riciclo. 

C’è poi, per concludere, il capitolo trasporti. I noli container sono alle stelle, quelli per le rinfuse pure. Ma l’andamento dei prezzi penalizza di più il settore cartario rispetto all’acciaio o al carbone, perché la carta è molto voluminosa ma pure molto leggera. Come confermano all’HuffPost dal mondo delle spedizioni, molti caricatori di prodotti “poveri” (come carta, carta da riciclo, ma pure pomodori) stanno rinunciando a esportare perché i costi dei trasporti superano di gran lunga i ricavi derivanti dalla vendita. Per un settore come quello cartario, che produce più carta di quanto il mercato interno ne consumi e che destina metà della sua produzione a mercati esteri, il peso delle spedizioni è un altro elemento che incide sulla marginalità delle imprese. “Le prossime settimane saranno cruciali”, continua Pasquini, “ma di questo passo rischiamo di dover bloccare le produzioni. Perché qui siamo in un paradosso: più produciamo, più ci perdiamo. Si sta innescando un fenomeno di cui nessuno conosce la gravità né la durata. Non è allarmismo, è puro realismo. Si rischia di rivedere le stesse scene viste durante la pandemia, con gli scaffali di carta igienica e rotoloni nei supermercati praticamente presi d’assalto”. 

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