Sporothrix schenckii è un fungo appartenente al phylum degli Ascomiceti, ed è distribuito in ogni parte del globo, anche se si concentra soprattutto nelle regioni tropicali e subtropicali; quelle a maggiore endemicità sono Giappone, India, Messico, Uruguay, Brasile e Perù. In natura vive comportandosi come un saprofita e si trova nel suolo, negli escrementi animali e nella vegetazione viva o in decomposizione; la materia organica presente nel terriccio raffigura una risorsa importante per lo sviluppo del micete. La prosperità di esso è maggiore nei terreni ricchi di cellulosa, con un pH che va da 3.5 a 9.4, una temperatura di 31° C e un’umidità che non deve essere al di sotto del 92%.
Come altri miceti residenti nel suolo (per esempio Blastomyces dermatitidis e Histoplasma capsulatum), S. schenckii è un fungo dimorfo, cioè esibisce due tipologie di sviluppo dissimili in base alla temperatura: a 25° C acquisisce le sembianze di una muffa (forma saprofitica nell’ambiente), mentre a 37° C si trasforma lievito (forma parassitaria nei tessuti degli organismi ospiti) (Fig. 1). A proposito di quest’ultima forma, S. schenckii è responsabile di un’infezione sottocutanea conosciuta come sporotricosi o malattia del giardiniere delle rose. Questo nome è legato al fatto che il micete è associato con le piante; cespugli di rose o di crespino, muschio di sfagno, siepi e altri pacciami albergano il microorganismo, che però non è fitopatogeno, dal momento che, se inoculato su piante morte e vive, riesce a proliferare nelle prime ma non nelle seconde.
Oltre alle piante, anche gli animali possono rappresentare dei serbatoi del micete, uno di questi potrebbe essere l’armadillo (Dasypus septemcinctus), poiché la caccia di questo animale è stata documentata da pazienti affetti da sporotricosi in Uruguay. Il fungo non è collocato nell’intestino o nell’epidermide dell’armadillo, però si può scovare nel prato asciutto che questo mammifero utilizza per costruire il proprio nido. C’è da sottolineare che la presenza di S. schenckii nel prato asciutto dei nidi degli armadilli contrasta con il bisogno dell’elevata umidità del micete per la crescita. Comunque non si può escludere l’ipotesi secondo cui specie diverse che rientrano nel complesso di S. schenckii (S. brasiliensis, S. globosa e S. mexicana) abbiano necessità differenti di umidità per svilupparsi.
Altri animali connessi alla trasmissione del microorganismo sono i pappagalli, i roditori, i cani, i gatti, gli scoiattoli, i cavalli e gli uccelli. In aggiunta a ciò, S. schenckii è stato isolato anche da animali acquatici, in particolare delfini e tilapie.
La prima identificazione di S. schenckii risale al 1896 da parte di uno studente di medicina del John Hopkins Hospital di Baltimora, Benjamin Schenck, il quale lo estrasse da un uomo di 36 anni che mostrava degli ascessi sul braccio e la mano destri. Il micologo Erwin F. Smith studiò il microorganismo isolato e concluse che faceva parte del genere Sporotrichum. Nel 1900 si verificò il secondo caso di sporotricosi, che riguardava un ragazzo che si era ferito il dito indice sinistro con un colpo di martello; l’abrasione causata dal colpo non guarì, il dito si gonfiò e comparve una lesione ulcerosa e purulenta. Sul dorso della mano e sull’avambraccio comparvero ulteriori lesioni, che coinvolsero anche i linfonodi. L’episodio venne descritto da Ludwig Hekton e C. F. Perkins, i quali diedero all’agente eziologico la denominazione corrente Sporothrix schenckii. Il micete fu inserito erroneamente nel genere Sporotrichum, che comprende i basidiomiceti, funghi che non sono né patogeni e né dimorfi. Tale classificazione durò fino al 1962, quando J. W. Carmichael riconobbe le differenze nella produzione dei conidi tra i membri del genere Sporotrichum e i miceti isolati dai casi di sporotricosi.
Come abbiamo già accennato all’inizio, S. schenckii assume due forme di crescita, ovvero filamentosa, che predomina nell’ambiente esterno o nelle piastre di coltura incubate a temperatura ambiente, e lievitiforme, che prevale quando il micete entra in un organismo o nelle piastre che vengono poste negli incubatori a 37° C. Partendo dalla prima, a livello microscopico è distinta da ife settate e ramificate, il cui diametro misura tra 1 e 2 μm, e conidi ovali di 3-5 μm, che possono essere ialini (dall’aspetto vitreo) e incolori, oppure marroni. A volte si raggruppano a formare delle strutture che ricordano dei fiori (Fig. 2). Al livello macroscopico, le colonie appaiono filamentose e umide, dall’aspetto che può essere coriaceo o vellutato, con una superficie finemente raggrinzita; all’inizio presentano un pigmento bianco, che poi vira al color crema fino al marrone scuro/nero, conservando però un ristretto bordo biancastro (Fig. 3). Il colore bruno che si osserva nei singoli conidi e nelle colonie è legato alla produzione di melanina, caratteristica comune ad altri miceti come Cladosporium cladosporioides e Hortaea werneckii.
Passando alla seconda tipologia di crescita, microscopicamente le cellule di S. schenckii si mostrano ovoidali o sferoidali, con un diametro cha va da 2 a 6 μm, e sono caratterizzate da un prolungamento a forma di sigaro (Fig. 4). Anche le cellule lievitiformi possono contenere granuli di melanina e di conseguenza assumere un colore scuro. Macroscopicamente il fungo genera delle colonie levigate e biancastre (Fig. 5).
La patologia indotta da S. schenckii, conosciuta come sporotricosi, è un’infezione che coinvolge prevalentemente la cute e i tessuti sottocutanei, compresi i linfonodi. Contrariamente agli altri miceti dimorfi, normalmente il contatto con questo fungo non avviene in seguito all’inalazione delle spore, bensì attraverso piccoli traumi (tagli, graffi, punture) provocati da materiale contaminato, per esempio pungendosi con le spine di alcune piante come le rose. Infatti gli individui maggiormente colpiti sono gli orticultori, i giardinieri, i contadini e i falegnami che manipolano a mani nude legno o piante che ospitano il microorganismo.
Le lesioni più assidue della sporotricosi, ossia le lesioni cutanee e linfocutanee, possono generarsi in qualsiasi parte del corpo, anche se le aree più interessate sono le braccia e le mani. Le lesioni primarie si sviluppano nel punto di annidamento del fungo e si presentano come delle papule non dolenti oppure come dei noduli sottocutanei, dal colore rosso, rosato o purpureo (Fig. 6C), che si dilatano fino a diventare necrotici, e può capitare che vadano incontro a ulcerazione (Fig. 6A e B) rilasciando un liquido sieroso e purulento. Nella sporotricosi cutanea le lesioni rimangono localizzate nell’area di impianto.
Nel caso della sporotricosi linfocutanea, la comparsa delle lesioni primarie è seguita dall’insorgenza delle lesioni secondarie (linfocutanee), a causa della diffusione del fungo lungo i canali linfatici. Di solito, dopo qualche giorno o settimana, avviene il rigonfiamento graduale dei linfonodi collocati nella zona colpita e la conseguente creazione di noduli sottocutanei che diventano palpabili (Fig. 6D). In assenza di trattamenti, si manifesta un eritema esteso della cute sovrastante, che può essere seguito da necrosi e, a volte, dall’insorgenza di un ascesso, un’ulcerazione (Fig. 6B) e una sovrainfezione batterica.
La sporotricosi cutanea e quella linfocutanea raffigurano le infezioni più comuni e, in entrambi i casi, si tratta di infezioni croniche e non doloranti.
Uno studio del 2020, pubblicato su Frontiers of Immunology, descrive l’implicazione di uno specifico tipo di cellule infiammatorie, i mastociti, nella patogenesi della sporotricosi cutanea. Tali cellule, nel momento in cui sono esposti al micete (sia in vitro che in vivo), secernono diverse citochine pro-infiammatorie come interleuchina 6 (IL-6), fattori di necrosi tumorale alfa (TNF-α), interleuchina 10 (IL-10) e interleuchina 1 beta (IL-1β); il marcato rilascio di queste citochine correla con la severità dell’infezione. I ricercatori analizzarono la patologia mediante iniezione sottocutanea del fungo in due modelli murini (topi normali e topi con disfunzione dei mastociti), e notarono che i topi con deficit dei mastociti erano meno suscettibili alla malattia e sviluppavano delle lesioni più piccole rispetto ai topi normali. In aggiunta a ciò, si è visto che i pazienti affetti da sporotricosi cutanea presentavano alti livelli di IL-6 e TNF-α nelle lesioni cutanee e nel siero.
Due ulteriori tipologie di sporotricosi sono quella polmonare e quella disseminata, che sono entrambe inconsuete. La prima è dovuta all’inalazione delle spore (un evento abbastanza raro) ed è caratterizzata da febbre, tosse, difficoltà respiratorie, fatica e dolore toracico. La seconda interessa in particolare le persone aventi un sistema immunitario indebolito ed è dovuta alla propagazione del microorganismo attraverso il circolo ematico. Ciò provoca la formazione di lesioni cutanee disseminate, nodulari o ulcerative (Fig. 7), e infezioni in diversi organi come le ossa, le articolazioni, il sistema nervoso centrale e, meno frequentemente, il fegato, la milza, i reni e i genitali. I sintomi dipendono dalla zona coinvolta: per esempio la sporotricosi del sistema nervoso centrale è distinta da cefalea, crisi epilettiche o meningite, mentre la sporotricosi delle articolazioni comporta dolore articolare e può essere confusa con l’artrite reumatoide.
Bisogna sottolineare che la sporotricosi non è una patologia esclusivamente umana, bensì colpisce anche altri animali, tra cui cani e gatti, che si infettano in seguito a contaminazione di ferite.
Sia della sporotricosi felina che di quella canina, ne esistono tre forme cliniche dissimili, ovvero linfocutanea, cutanea localizzata e disseminata. La prima è contraddistinta dalla presenza di piccoli noduli nel sito di accesso del fungo, che interessano il derma e il sottocute. Con la diffusione mediante il circolo linfatico compaiono ulteriori noduli, che possono ulcerarsi (Fig. 8 e 9) e rilasciare un liquido sierico-emorragico. La seconda forma, come dice il nome, rimane circoscritta nella zona di inoculazione e induce la comparsa di lesioni ulcerose, verrucose o acneiformi. Nelle forme linfocutanea e cutanea le lesioni sono collocate soprattutto sulla testa e alle estremità degli arti. Per quanto concerne la terza tipologia, che è rara ed è imputabile ad alterazioni del sistema immunitario, si manifesta in seguito allo spargimento per via ematica del patogeno, che può raggiungere distretti come le ossa, il fegato, la milza, il tratto gastroenterico, i polmoni, i reni e il sistema nervoso centrale. Questi sono alcuni sintomi: problemi respiratori (dispnea, starnuti, respiro affannoso e naso che cola), tumefazione dei linfonodi, calo ponderale, anoressia, febbre, disidratazione e vomito.
S. schenkii possiede una serie di fattori di virulenza, attraverso cui riesce a oltrepassare i meccanismi di difesa dell’ospite e a moltiplicarsi al suo interno. Tra questi abbiamo:
Per sapere se un individuo (o un animale domestico) è affetto da sporotricosi, il percorso diagnostico prevede diversi approcci, a partire dalla valutazione clinica, in cui si esaminano le eventuali lesioni cutanee e si esegue un’anamnesi, al fine di ipotizzare una potenziale esposizione al fungo (ad esempio se il clinico si trova di fronte a un giardiniere o a un orticultore. Oppure se il veterinario visita un cane da caccia, che sono quelli più predisposti all’infezione). Gli esami di laboratorio includono:
Il trattamento della sporotricosi cutanea e linfocutanea prevede come farmaco di scelta l’itraconazolo orale 100-200 mg al giorno per 3-6 mesi. Un’alternativa è il fluconazolo 400-800 mg per 6 mesi, i cui effetti, però, sono minori rispetto all’itraconazolo. Questi due farmaci esercitano la loro azione inibendo la 14-alfa-demetilasi, un enzima importante per la sintesi di ergosterolo (un componente della membrana cellulare fungina).
Per le forme più gravi dell’infezione, come quella disseminata, si ricorre all’amfotericina B 3-5 mg/kg, somministrata per via intravenosa; nel momento in cui si vede un miglioramento, si può passare all’itraconazolo orale 200 mg due volte al giorno per un anno. L’amfotericina B agisce infiltrandosi nella membrana del micete e ne altera la permeabilità.
La profilassi della sporotricosi consiste soprattutto nell’utilizzo di guanti protettivi e indumenti a maniche lunghe ogni volta che si fanno attività che prevedono la manipolazione di piante o materiali che aumentano il rischio di esposizione. I medici e i veterinari che si trovano a contatto con persone o animali infetti devono proteggersi indossando guanti in lattice.
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