Le Convenzioni sugli stupefacenti, queste sconosciute - HuffPost Italia

2022-07-15 18:42:38 By : Ms. Sarah Liu

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(Testo preparato con Leonardo Fiorentini per conto del Comitato promotore referendum cannabis)

Quello che nella nostra campagna politica abbiamo chiamato “Referendum Cannabis” è stato dichiarato inammissibile il 16 febbraio scorso. Prima di affrontare nel merito le motivazioni che verranno pubblicate nei prossimi giorni, ci teniamo ad affrontare nel dettaglio quanto in effetti dicono le Convenzioni Onu in materia di sostanze psicotrope e narcotiche perché, anche da fonti autorevoli, ci pare siano poco conosciute.

Ma partiamo col nostro referendum. La Costituzione parla chiaro: non sono possibili referendum su leggi tributarie o di bilancio, amnistia o indulto e leggi di autorizzazione di ratifica di trattati internazionali. La legge 309/90, oggetto del nostro referendum, non autorizza la ratifica della Convenzione del 1988 né la implementa. Piante e derivati psicoattivi sono sotto controllo internazionale e suddivisi in 4 tabelle a seconda della loro pericolosità ma il quesito non le toccava, interveniva sulle condotte. Nel presentare il giudizio di inammissibilità del quesito sulla cannabis il Presidente Giuliano Amato ha, tra le altre cose, avanzato problemi di conflitto con le Convenzioni dell’Onu. In attesa delle motivazioni ci teniamo a ricordare alcuni aspetti di cui si parla ma che poco si conoscono.

L’obbligo derivante delle Convenzioni di vietare le coltivazioni di piante inserite nelle tabelle per fini diversi da quelli medici o scientifici è indiscutibilmente assolto nel Testo Unico sulle droghe dall’art. 26, che noi non toccavamo. Questo vieta la coltivazione delle piante (a eccezione della canapa industriale) per fini non medico-scientifici debitamente autorizzati dal Ministero della Salute. L’art. 28 rinvia per chiunque coltivi in assenza di autorizzazione “alle sanzioni penali ed amministrative stabilite per la fabbricazione illecita delle sostanze stesse”. Si badi bene, “fabbricazione” e non “coltivazione”: così è scritto,  non da noi, ma nel  DPR 309/90. Basta leggere il testo del quesito per capire che il referendum non toccava questi articoli lasciando quindi la normativa nell’alveo delle convenzioni e consentendo di colpire con la sanzione penale qualsiasi condotta di produzione di stupefacenti che per quantità e industriosità potesse essere definita a uso non personale. Come avevamo chiarito nella memoria in vista della camera di consiglio la rimozione del termine coltiva dal comma 1 dell’art. 73, in una lettura sistematica, convenzionalmente orientata e vincolata al principio di tipicità, si risolveva nella depenalizzazione della sola coltivazione ad uso personale di un numero limitato di piante delle tabelle I e II, lasciando penalizzate le ulteriori condotte necessarie a produrre ed estrarre sostanze stupefacenti (come eroina e cocaina) anche ad uso personale!

Le convenzioni non dettano l’obbligo di vietare la coltivazione in senso assoluto, quella del 1961 all’art 22 la ritiene una facoltà del paese se “a suo avviso, la ritiene la misura più adatta”, mentre quella del 1988 nel definire le condotte da ritenere illecite rimanda sempre alle disposizioni della prima. La rimozione dal comma 4 dell’art. 73 delle pene detentive per le condotte relative alle cosiddette “droghe leggere”, restava rigidamente nell’ambito delle Convenzioni. Recentemente, l’INCB, ha specificato come “l'uso estensivo dell'incarcerazione per reati di droga di basso livello persiste in molti Stati, anche se secondo le convenzioni sul controllo della droga solo i reati "gravi" dovrebbero essere passibili della pena dell'incarcerazione.” Peraltro, già con il Testo Unico l’Italia scelse di utilizzare quella flessibilità nell’interpretazione e applicazione delle Convenzioni messa nero su bianco dalla seconda Assemblea Generale dell’ONU del 2016, colpendo le condotte legate alla cannabis con sanzioni minori, nonostante fosse allora ancora inserita nella tabella IV, quella delle sostanze più pericolose e soggette a controllo rafforzato. Nel 2020 la Commissione droghe dell’ONU ha rimosso, con il voto favorevole dell’Italia, la cannabis da quella tabella. Il nostro referendum di fatto sarebbe stato un mero adeguamento in linea con le mutate condizioni internazionali e nel solco già tracciato dal legislatore nel 1990.

Infine la rimozione della sanzione amministrativa del ritiro della patente, a prescindere da comportamenti pericolosi come la guida in stato alterato (che rimaneva punita ai sensi dell’articolo 187 del CdS), è in piena linea col dettato delle convenzioni. Il quesito si  manteneva quindi all’interno dei vincoli cogenti delle tre Convenzioni. Per tornare da dove siamo partiti ricordiamo che il vincolo esplicito dell’art. 75 della nostra Costituzione è l’impossibilità di proporre referendum sulle “leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Le norme oggetto di referendum non sono contenute in alcuna legge di ratifica, quelle che i padri costituenti volevano escludere dall’intervento popolare in quanto “leggi formali”. Cioè le leggi che esauriscono il loro compito, nel caso la ratifica del trattato, con l’approvazione e che non normano comportamenti futuri. 

Da troppi anni la Corte Costituzionale ha esteso questa previsione anche a quelle norme che applicano impegni derivanti da Trattati e Convenzioni. Un’interpretazione contestata da gran parte della dottrina che con la decisione di questi giorni preclude ogni possibile cambiamento efficace della legislazione sulle droghe tramite referendum. Un’impostazione della Consulta che è ormai diventata giuridicamente, oltre che politicamente, contraria al compito assegnatole dalla Carta e contro cui non mancheremo di tornare per difendere i diritti costituzionali di poter partecipare con il referendum alle scelte del nostro paese.

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