100 anni dalla nascita di Joseph Beuys. Le 10 opere più famose

2022-08-12 18:55:51 By : Ms. vicky zhang

Un secolo fa nasceva Joseph Beuys, l’artista “sciamano” che con la sua pratica ha rivoluzionato l’arte del Novecento. Dal celebre abito in feltro fino alla grandiosa operazione tenuta a Kassel per documenta 7, ecco le opere più iconiche e importanti dell’artista tedesco

Il 12 maggio 1921 nasceva Joseph Beuys, tra gli artisti più influenti e rivoluzionari del Novecento la cui poetica e pratica artistica hanno precorso temi e riflessioni oggi più che mai attuali: il rapporto tra essere umano e Natura, ecologia, pace, arte intesa come impegno sociale e ricerca spirituale. Temi, questi, che in realtà sono l’essenza stessa della vita di Beuys, le cui vicende biografiche hanno fortemente determinato il suo percorso di artista: nato a Krefeld nel 1921, Beuys durante la Seconda Guerra Mondiale è pilota dell’aviazione tedesca. Durante un’operazione militare in Russia, il suo aereo viene abbattuto e rimane ferito: secondo il suo racconto, l’artista viene salvato da un gruppo di nomadi tartari che lo curano con antiche pratiche della loro medicina tradizionale, facendo ricorso a grasso animale e pelli di feltro. Elementi, questi, che diventeranno un leit motiv della sua pratica artistica e performativa, intese come atti salvifici in grado di rivoluzionare la società. Forte è anche il lagame di Beuys con l’Italia: a Bolognano, dove viene invitato da Lucrezia De Domizio e Buby Durini, porta avanti una serie di attività incentrate sull’agricoltura e la biodiversità; e poi gli incontri con Alberto Burri, il gallerista Lucio Amelio, il critico Achille Bonito Oliva, solo per citarne alcuni. Quest’anno decorre il centesimo anniversario dalla nascita di Beuys , e abbiano deciso di omaggiarlo ricordando 10 delle sue opere più celebri.

Tutta la produzione artistica di Beuys è connotata da elementi autobiografici, da esperienza di vita, messaggi e simboli che l’artista veicola attraverso oggetti e materiali che si reiterano in opere e performance, come talismani. Uno di questi è il grasso, elemento insieme al feltro che ha salvato Beuys dopo l’incidente aereo in Russia, e che è assoluto protagonista dell’opera Sedia del 1964: qui la seduta, come altri oggetti presenti in altre opere dell’artista, alludono alla vita umana che quindi viene guarita, rivoluzionata e liberata grazie al potere salvifico del grasso.

Si tratta di una performance svoltasi nella galleria Schmela di Düsseldorf nel 1965: Beuys ha il volto cosparso di miele e foglia d’oro, e in una galleria vuota (il pubblico può osservare ciò che sta accadendo solo dall’esterno) spiega a una lepre morta che porta tra le braccia i dipinti che si trovano alle pareti. Con questa azione, l’artista vuole sottolineare come la fruizione dell’arte sia oramai legata a una serie di cerimoniali sociali, e sensibilizzare quindi a una fruizione dell’arte più istintiva, irrazionale, più legata alla propria dimensione spirituale.  

Anche questa è tra le performance più note di Beuys, e rientra negli anni in cui l’artista prende parte alle iniziative del gruppo Fluxus, realizzando sculture e installazioni con l’obiettivo di sollecitare una riflessione critica nel pubblico. In Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda , un pianoforte, simbolo della cultura europea in crisi, viene avvolto da Beuys in uno strato di feltro, con lo scopo di ricondurlo alla vita (così come è successo allo stesso artista in Russia).  

L’installazione, che consiste in 24 slitte in legno – ognuna delle quali dotata di una coperta di feltro, un pezzo di grasso animale e una torcia – fuoriescono da un vecchio furgoncino Volkswagen, ed è legata all’episodio del suo salvataggio in Russia. La slitta diventa simbolo di sopravvivenza e resistenza anche nelle situazioni più estreme, e la coperta, il grasso e la torcia sono gli strumenti con cui combattere le avversità della vita.

È senza ombra di dubbio l’opera più iconica di Beuys: l’abito è concepito come una protezione del corpo – è interamente realizzato in “salvifico” feltro –, ma allo stesso tempo la sua essenza positiva lascia spazio anche alla sua accezione più drammatica. L’abito vuoto e la sua natura “anonima” tipica da divisa ricordano anche la vita e la morte nei campi di concentramento. L’abito/scultura è stato realizzato in 100 esemplari, e uno di questi è custodito alla Tate di Londra .

È l’immagine-manifesto della vita e dell’opera di Beuys: in questa fotografia, scattata nel viale d’ingresso di Villa Orlandi ad Anacapri di Pasquale Trisorio (che in quegli anni ospitava nella sua dimora numerosi artisti e intellettuali), Beuys indossa l’immancabile cappello in feltro, giubbotto, stivali e borsello a tracolla, e procede con passo deciso verso lo spettatore. La volontà dell’artista è, qui, di apparire come un uomo qualunque, pur distinguendosi dalla folla perché “Everybody is an artist” , e quindi ogni essere umano può essere creativo contribuendo quindi al miglioramento della società.  

Altra performance celebre di Beuys, I like America and America likes me si svolse nel 1974 alla galleria René Block di New York. Per diversi giorni, l’artista si fece rinchiudere in una gabbia insieme a un coyote, protetto solo da una coperta di feltro e utilizzando come strumento un bastone che definì “euroasiatico”. Obiettivo di Beuys era quello di instaurare un rapporto di fiducia tra lui e l’animale, simbolo di riconciliazione tra l’uomo e la Natura ma anche, in senso politico, una riconciliazione tra gli americani contemporanei e i loro antenati, perseguitati e rinchiusi in riserve, simboleggiati appunto dal coyote.  

Nel 1980 la Campania e la Basilicata vennero colpite da un violento sisma, passato alla storia come “Terremoto dell’Irpinia”. Nel 1981, il gallerista napoletano Lucio Amelio invitò i più importanti artisti attivi in quegli anni a realizzare una serie opere che potessero trasformare il dramma del sisma in forza creativa, concependola come “una macchina per creare un terremoto continuo dell’anima” . Risposero all’invito di Amelio, tra gli altri, Tony Cragg, Keith Haring, Jannis Kounellis, Robert Mapplethorpe, Mario Merz, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Robert Rauschenberg, Julian Schnabel, Emilio Vedova, Andy Warhol e Joseph Beuys, che per l’occasione realizzò l’installazione Terremoto in palazzo : l’artista si reca personalmente nei luoghi del sisma, e qui raccoglie, tra le macerie, strumenti da lavoro che vengono poi esposti in maniera quasi casuale nell’ambito della mostra, conferendo loro tutta la potenza propria dei reperti storici. La prima esposizione di Terrae Motus si svolse a Boston nel 1983, poi a Villa Campolieto a Ercolano e nel 1987 al Grand Palais di Parigi. Nel 1993 la collezione è stata donata alla Reggia di Caserta.

È l’opera più grandiosa di Beuys, iniziata nel 1982 nell’ambito di documenta 7 a Kassel. Davanti al Museo Fridericianum l’artista fece accumulare 7000 pietre di basalto, a ognuna delle quali era legato il destino di una piccola quercia: chiunque avesse adottato una di quelle pietre, avrebbe finanziato l’impianto di un albero in città o nei territori limitrofi. Un processo lunghissimo, portato a termine dopo la morte dell’artista, avvenuta nel 1986: nel territorio di Kassel sono stati piantati così 7000 nuovi alberi, e le pietre sono state rimosse dal piazzale dinanzi il museo.

Custodita alla Tate, l’opera consiste in 31 rocce di basalto voluminose, installate sul pavimento in maniera apparentemente casuale. È la terza di una serie di opere che hanno tutte lo stesso titolo: la prima di queste, che comprende ventuno pietre, è stata concepita nel 1983 per la mostra Tending Towards the Total Work of Art alla Kunsthalle Düsseldorf su richiesta del curatore Harald Szeeman. Segue poi una seconda versione, con 44 pietre, fino alla versione finale della Tate. L’opera affronta il tema della morte ma anche della rigenerazione attraverso la natura: il basalto è una pietra di origine vulcanica cui Beuys associa l’antica energia della Terra. Su ogni pietra l’artista ha praticato un foro, una sorta di ferita colmata e guarita da argilla e feltro, come simbolo di rinnovamento alla fine di un secolo particolarmente violento e distruttivo.

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