Vescovi contro Autonomia differenziata e blocchi navali. Zuppi: la Chiesa stimoli il rilancio delle aree interne, non il campanilismo - FarodiRoma

2022-09-02 18:32:20 By : Mr. Leo Teng

“L’Autonomia differenziata danneggia il Sud e l’Italia: non farebbe altro che accrescere le diseguaglianze”. Per questo, “chiediamo alla politica interventi seri, concreti, intelligenti, ispirati da una progettualità prospettica, non viziata da angusti interessi o tornaconti elettorali”. Come la proposta del blocco navale anti-migranti: i flussi migratori per i vescovi possono “costituire un’opportunità per ravvivare molte realtà soggette a un decremento progressivo della popolazione, ma è necessario affinare sempre più la disponibilità all’ascolto, ad assumere, nel rispetto della legge, logiche inclusive, non di esclusione”, si legge nel Documento finale approvato dai vescovi delle aree interne, riuniti a Benevento al Centro “La pace” fondato da don Emilio Matarazzo, compianto profeta dell’amicizia tra i popoli e formatore di diversi tra i 30 presuli invitati dall’arcivescovo locale Felice Accrocca, apprezzato studioso di san Francesco.

La due giorni di riflessione, analisi e proposta si è conclusa ieri 31 agosto con l’intervento del presidente della Cei, l’arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Zuppi. Per i Vescovi italiani “le Aree Interne sono un laboratorio per tutta la Chiesa italiana”, ha sottolineato Zuppi, concludendo il Convegno. “Noi – ha denunciato – siamo già in ritardo sul futuro, che va avanti da cinquant’anni”. Il quadro è difficile, difficilissimo ma “noi non difendiamo un museo o un museo delle cere – spiega Zuppi – crediamo invece che le aeree interne siano appunto un grande laboratorio per guardare al futuro» e che sia necessario “uno sguardo d’insieme”. È vero – ha continuato il cardinale – che ci sia “disillusione e paura del futuro e non soltanto nelle aree interne, ma anche nelle altre”. Allora è necessaria “la consapevolezza che se ne esce insieme”, oltre che dando “risposte credibili, per le quali vale la pensa sperare, investire e non vivacchiare”. E qui il presidente Cei ha fatto un esempio che rusulta molto chiaro: “La tentazione dei campanilismi è presente, eppure “se i ‘campanili’ li mettiamo insieme possono rappresentare ancora un fattore di crescita mentre il campanilismo è il passato”. “La grande ricchezza delle aree interne è la comunità, i campanili possono diventare antenne ed è di questo che c’è estremo bisogno”, ha detto Zuppi.

Serve dunque “uscire da schemi ormai sclerotizzati, rompere con la logica del ‘si è sempre fatto così’, dicono i vescovi delle “Aree interne”, che non hanno alcuna voglia di ridursi ad “accompagnatori” verso la morte dei piccoli paesi sempre più spopolati.

Il rischio che corrono piccoli centri e borghi è avere “cure palliative o accanimento terapeutico – sottolinea il presidente della Conferenza episcopale italiana – anziché entusiasmo e poter diventare laboratori per il futuro e anche per le aree urbane”. I vescovi aggiungono che “noi ci impegniamo a restare, la Chiesa non vuole abbandonare questi territori, senza per questo irrigidirsi in forme, stili e abitudini che finirebbero, appunto per sclerotizzarla”. Perciò chiedono alla politica – si legge ancora nel loro messaggio – “interventi seri, concreti, intelligenti, ispirati da una progettualità prospettica» e «non viziata da tornaconti elettorali”.

Dal punto di vista pastorale, i vescovi delle Aree interne sanno che, a partire proprio dai luoghi più isolati e meno grandi, “bisogna ripensare l’esercizio del ministero presbiterale – scrivono – e promuovere con decisione il sacerdozio comune di tutti i battezzati, una ministerialità diversificata e responsabile, la valorizzazione del diaconato permanente, del laicato, quello femminile in particolare, che è parte consistente delle nostre comunità”.

“Se non ci si ferma a guardare l’Italia fragile, che rappresenta peraltro la maggior parte del territorio italiano, da Nord a Sud. «Le Aree interne – si legge ancora nel documento – costituiscono una larga porzione del Paese, accomunata da alcune criticità, depositaria di straordinarie ricchezze e tuttavia diversificata: sono, per analogia, come la piccola Nazareth, marginale, eppure custode della realtà più preziosa. Non ci rassegniamo ad accompagnarle alla fine, in una sorta di accanimento terapeutico, ma vogliamo costituirci baluardo, forza per difenderle, dando vita a reti solidali capaci di attivare sinergie”.

Avere il coraggio di uscire da schemi ormai sclerotizzati, di rompere con la logica del “si è sempre fatto così”, ripensare il rapporto tradizione-innovazione, integrare una pastorale spesso sbilanciata sull’ambito cultuale liturgico: queste le altre direttrici tracciate durante il Convegno.

Ma anche “una ministerialità diversificata e responsabile, la valorizzazione del diaconato permanente, le forze del laicato, quello femminile in particolar modo, che costituisce una parte consistente del tessuto delle nostre comunità, senza dimenticare eremiti e comunità monastiche, che nelle aree interne più isolate sono la forza segreta che mantiene in vita tante energie”.

La Chiesa italiana delle Aree interne riunita a Benevento, dunque, si dice impegnata a “restare” e ad essere presente: “Ci impegniamo ad aiutare i nostri giovani che vogliono restare, cercando di offrire loro solidarietà concreta, c’impegniamo ad accompagnare quelli che vogliono andare, con la speranza di vederli un giorno tornare arricchiti di competenze ed esperienze nuove. Le Aree interne, dove la vita non vuole morire, possono divenire un laboratorio d’idee, una risorsa viva, un tesoro straordinario per tutto il Paese: sta a noi, tutti insieme – pastori, comunità cristiana, società civile, politica – far sì che tale auspicio diventi realtà”.

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