Nicola Sparvieri, Autore presso Consul Press

2022-08-19 18:33:44 By : Ms. Max Zhao

Scritto da Nicola Sparvieri il 21/06/2022. Pubblicato in Spazio Libero. Lascia un commento

Circa cinque anni fa Radio Maria suscitò molta polemica definendo “castigo di Dio” il terremoto dell’Italia centrale da poco avvenuto che interessava principalmente Norcia, Preci e Castelsantangelo sul Nera e i comuni di Amatrice e Arquata del Tronto, provocando complessivamente circa 300 vittime.

Il 30 ottobre 2016, il giorno dopo la più̀ devastante delle scosse di quel periodo, il domenicano Padre Giovanni Cavalcoli, docente emerito di Teologia Dogmatica nella Facoltà̀ Teologica dell’Emilia-Romagna, conducendo una trasmissione su Radio Maria disse: “Questi disastri sono conseguenza del peccato originale, si possono considerare come un castigo divino. Si ha l’impressione che le offese che si recano alla legge divina, pensate alla dignità̀ della famiglia, del matrimonio, alla stessa dignità̀ dell’unione sessuale, siano proprio…chiamiamolo… castigo divino, ma inteso come un richiamo per ritrovare i principi della legge naturale”.

Egli metteva quindi in relazione l’approvazione della Legge Cirinnà sulle unioni civili e convivenze ex legem, in vigore dal 5 giugno dello stesso anno (che prevedevano anche le unioni di fatto tra omosessuali) con il terremoto. L’interpretazione teologica era quella di un “castigo” o un “richiamo” di Dio a ritrovare i principi della legge naturale.

Successivamente il Vaticano intervenne per bocca di monsignor Angelo Becciu, sostituto alla Segreteria di Stato con la seguente nota: “Sono affermazioni offensive per i credenti e scandalose per chi non crede, datate al periodo precristiano e non rispondono alla teologia della Chiesa perché́ contrarie alla visione di Dio offertaci da Cristo che ci ha rivelato il volto di Dio amore non di un Dio capriccioso e vendicativo. Questa è una visione pagana, non cristiana. Chi evoca il castigo divino ai microfoni di Radio Maria offende lo stesso nome della Madonna che dai credenti è vista come la madre misericordiosa che si china sui figli piangenti e terge le loro lacrime soprattutto in momenti terribili come quelli del terremoto. Radio Maria deve correggere i toni del suo linguaggio e conformarsi di più̀ al vangelo e al messaggio della misericordia e della solidarietà̀ propugnato con passione da Papa Francesco specie nell’anno giubilare. Non possiamo non chiedere perdono ai nostri fratelli colpiti dalla tragedia del terremoto per essere stati additati come vittime dell’ira di Dio. Sappiano invece che hanno la simpatia, la solidarietà̀ e il sostegno del Papa, della Chiesa, e di chi ha un briciolo di cuore“.

Radio Maria ha successivamente precisato che le espressioni riportate sono di un conduttore esterno e non rispecchiano il pensiero dell’emittente al riguardo e ha sospeso con effetto immediato le trasmissioni del Padre domenicano. A sua volta, padre Giovanni Cavalcoli, invece, non si è scusato per le frasi sul terremoto da lui dette a Radio Maria il 30 ottobre ed ha invece affermato: “Confermo tutto, i terremoti sono provocati dai peccati dell’uomo come le unioni civili. In Vaticano si ripassino il catechismo“.

L’episodio che ho riportato è solo un pretesto per poter introdurre il concetto di autonomia della materia e del creato rispetto al creatore. In definitiva il problema è perché esiste il male se Dio è buono? Questo problema chiamato teodicea è il sasso di inciampo di generazioni di persone che quasi sempre restano con la domanda senza una risposta che li soddisfi veramente.

Il punto è: secondo la teologia cristiana quale ruolo Dio ha nella dinamica del mondo e delle nostre scelte? Le risposte a questa domanda possono portare, da una parte, a una visione neopagana e devozionale (“raccomandarsi” a Dio facendo sacrifici) o neopanteista (in cui Dio è in tutte le cose che ci circondano). Oppure considerare che la natura e la materia hanno autonomia propria e seguono le leggi della fisica e Dio non ha nulla a che vedere con questo e la definizione di male è solamente strumentale alla sofferenza ma non ha valore assoluto.

In fondo alla questione è il concetto di libertà. Non si può̀, infatti, dare la libertà a qualcuno se da questa non possa seguire anche la scelta di ciò̀ che è definito male come parte di tutte le opzioni possibili. Se Dio avesse creato l’uomo impedendogli di scegliere il male gli avrebbe negato la sua più̀ grande dignità̀ che è la sua libertà di scegliere.

La grande sfida che tutti abbiamo è quella di portare l’uomo liberamente e senza alcuna costrizione a scegliere il bene. Se tutti facessero così non ci sarebbero più̀ le ingiustizie, la povertà̀, l’inquinamento e le guerre. Anche il miglior sistema politico possibile ha il problema di impedire che l’uomo agisca male: esso può farlo con incentivazioni o punizioni sia in democrazia che in dittatura.

Tutto il male che l’uomo può̀ compiere, in coscienza e consenso, come ad esempio violenza, ingiustizia, guerre, ignoranza ecc dipende solo dalla sua libera scelta e ne è lui responsabile e sicuramente non Dio. È vero che Dio suscita “il volere e l’operare” (Fil 2, 13) ma alla fine è sempre l’uomo che sceglie.

E che cosa possiamo dire per gli oggetti della natura, cioè̀ la materia e tutto il resto, compresi terremoti, inondazioni, frane ecc? Da un punto di vista più̀ generale la questione è questa: esiste autonomia fra l’essere di Dio e l’essere che non è Dio e cioè̀ la creazione (il mondo fisico, animato e inanimato, e l’uomo)? Se l’Assoluto esaurisce tutta la realtà̀ nella pienezza del suo essere e delle sue perfezioni, qual è allora il senso di qualcosa che sia diverso da Lui?

La domanda ricorda quanto espresso da Leibniz e da Heidegger che chiedevano: “perché́ esiste qualcosa invece che il nulla?”, cioè̀: “perché́ esiste qualcosa che non sia Dio?”. Il tema dell’autonomia compare già̀ ogni volta che ci chiediamo: cosa viene posto da Dio fuori di Dio?

Fenomenologicamente, nel concetto di “male” possiamo inserire sia le catastrofi naturali (tsunami, terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni), che le patologie degli esseri viventi (malattie, handicap, incidenti, morte), le deficienze morali (peccato, vizio, tentazioni), i disordini sociali (ingiustizia, violenza, oppressione, guerra), le carenze e le deviazioni del pensiero (ignoranza, errore). Quindi appare che il concetto di male è da interpretare come “male per l’uomo” e non esiste dunque un concetto di “male assoluto”. Infatti, quando, ad esempio, la peste provocava morti a centinaia nelle epidemie essa veniva considerata un male. E dopo, a seguito dei progressi della medicina, probabilmente ora verrebbe classificata alla stregua di un raffreddore e dunque non più̀ parte di quella lista. Cosa è dunque male, una categoria di cose o la nostra ignoranza a poter risolvere problemi?

Ma se la materia del creato gode di autonomia, perché́ la degenerazione cancerosa dei tessuti deve essere considerata male? O la tensione che si accumula al confine di zolle tettoniche che provoca fratture e quindi terremoti, deve essere considerata male? Cosa c’entra Dio con tutto questo? E con una pallina che cade a terra? E con il decadimento di un nucleo di uranio?

E ancora: può̀ avere a che fare con Dio se siamo investiti da un autista ubriaco o piuttosto il punto è che quando ci si ubriaca non bisogna guidare? Dio agisce nelle sue creature suscitando il volere e l’operare ma lasciando libere le creature di scegliere in totale autonomia.

Mi è capitato di assistere per decine di volte a discorsi su come Dio mandi tumori o decessi di familiari per poter convincere le persone alla necessità di convertirsi e di avvicinarsi a lui. La questione non ha lo stesso contenuto dell’intervento di Padre Cavalcoli a Radio Maria? Perché la spiritualità deve essere legata al devozionismo al limite della magia e non può appartenere a un approccio teologico-critico?

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Scritto da Nicola Sparvieri il 26/05/2022. Pubblicato in Spazio Libero. Lascia un commento

Le opinioni in contrasto con la Chiesa Cattolica sono da sempre nutrite e variegate. Bisogna dire che sono sempre giustificabili, almeno in qualche aspetto o sfumatura. Tra le più frequenti ci sono quelle che si ispirano alla storia come le crociate o l’inquisizione e le forme persecutorie nei confronti della scienza moderna nel suo nascere. Naturalmente spesso queste critiche sono fatte con la sensibilità che abbiamo noi oggi e quindi potrebbero essere astoriche, ma tralasciamo adesso questo aspetto. Tra le critiche più vicine ai nostri tempi troviamo problemi legati all’ingerenza sulla vita pubblica, agli interessi economici del Vaticano, alla morale sessuale. Poi possiamo citare la paternità responsabile e la difesa della vita, la procreazione assistita, l’aborto e l’eutanasia e disciplina sul matrimonio indissolubile ed eterosessuale. Infine, il problema della pedofilia.

Non è motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di pedofilia non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico della chiesa.

Dunque, nell’immaginario collettivo, la chiesa si è ridotta a un semplice agglomerato di persone celibi e frustrate sessualmente, spesso corrotte che gestiscono un potere residuo cui rimangono attaccate con le unghie e con i denti.

Questa critica dovrebbe essere analizzata e capita se in essa si ravvisano anche tracce di verità. Tuttavia, la chiesa è anche uno scrigno di tesori e di messaggi di salvezza per l’uomo di oggi da conoscere e apprezzare nonostante chi, in essa, somiglia sempre di più a un funzionario di partito e sempre meno a una persona cui guardare come modello di pienezza e realizzazione umana.

Che cosa è successo storicamente? Quando e perché la chiesa ha mutato i suoi contenuti e metodologie e ha fatto nascere il clero come casta manageriale delle cose spirituali?

Le cause ultime vanno ricercate in un periodo spartiacque tra la chiesa primitiva dei primi tre secoli e la chiesa dopo l’editto di Tessalonica del 380. Per una serie di motivi storici ed economici la chiesa ha abbandonato un cristianesimo basato sull’annuncio apostolico che ha formato spontaneamente le prime comunità cristiane. Esse erano principalmente chiese domestiche perseguitate dal potere politico cui opponevano, fedele agli insegnamenti di Gesù sull’argomento, un’opposizione pacifica e silenziosa.

Tutto questo ebbe termine quando l’Imperatore Teodosio con l’editto di Tessalonica proclamava il cristianesimo religione di stato dell’ impero romano. In tal modo Teodosio portò molto oltre l’editto di Costantino del 313 che equiparava la religione cristiana alle altre religioni esistenti nell’Impero. Egli, quindi, trasformò l’appartenenza alla religione cristiana in un obbligo di stato per poter accedere alle magistrature e agli incarichi dell’esercito. Iniziò inoltre anche una metodica opera di distruzione dell’antica religione politeista romana: in questo modo il cristianesimo è stato trasformato dall’Imperatore Teodosio da una religione che propugnava un regno di Dio alternativo ai poteri temporali in una religione-cultura di stato.

Il vescovo dei fedeli di Roma divenne il nuovo Pontefice Massimo, la carica affidata fino ad allora al vertice della religione politeista prona ai voleri politici dell’imperatore di turno.

L’editto di Tessalonica è, dunque, uno spartiacque fondamentale per comprende la storia cristiana. Si assiste in questo periodo al nascere di una nuova casta sacerdotale, chiamata a gestire un nuovo e immenso potere temporale, che presto abbandonerà le famiglie (dove il “pater familias” era anche il sacerdote della chiesa domestica). Si cominciano a realizzare grandi cattedrali per il culto sui grandi templi pagani. Si forma quindi un clero organizzato e gerarchizzato in cui il celibato sacerdotale (fino ad allora non presente) assicurava da un lato la totale disponibilità al servizio e dall’altra di evitare la dispersione dei beni della chiesa con le eventuali dispute sull’eredità dei beni parrocchiali con i figli dei sacerdoti.

Dopo l’editto di Tessalonica, battezzarsi diventa un obbligo sociale e politico, necessario per rimanere all’interno della politica dell’Impero. Per battezzarsi non è più necessario credere realmente agli insegnamenti della dottrina né entrare in un catecumenato. Non ci si battezza per entrare in un Regno di Dio diverso dai regni umani, ma ci si battezza, al contrario, per poter fare carriera nelle magistrature o nell’esercito dell’Impero.

L’eredità drammatica dell’editto di Tessalonica è un immenso oceano di battezzati in forza di legge e la premessa per il potere temporale dei Papi, che si concretizzerà dopo il crollo dell’Impero d’Occidente.

Con i secoli, il clericalismo pervaderà tutta la società e si creerà, in nome di Dio, una struttura sociale sottomessa agli interessi del clero e della nobiltà a danno dei laici e dei poveri: in tutti questi secoli i santi, a partire da San Benedetto da Norcia, ricostruiranno ogni volta la chiesa richiamando l’originaria volontà primitiva, fino ai giorni nostri.

Dopo la caduta dell’Impero di occidente e l’avvento del cosiddetto medio evo si è assistito a una serie di eventi imperniati tutti sulle necessità, diretta o indiretta, di gestire, oltre al “depositum fidei”, anche un potere politico ed economico.

Il celibato sacerdotale, non come libera scelta, ha origine in questo periodo (con papa Gregorio VII). Da quel momento in poi nella chiesa latina vengono ordinati presbiteri solo uomini non sposati, mentre i diaconi e i sacerdoti di rito orientale possono aver ricevuto il sacramento del matrimonio prima del sacramento dell’ordine sacro.

Da un punto di vista pratico direi che da un lato è importante la formazione dei cristiani in generale, quindi il battesimo. Ma anche nella preparazione al sacerdozio e al matrimonio. Spesso assistiamo sia a sacerdoti con carisma scarso e debole ma molto più spesso a matrimoni senza contenuti che sempre più di frequente sono costretti a crolli accompagnati da grandi sofferenze. Non si possono improvvisare scelte così importanti e vitali con moralismi appiccicati di vuote formulette che producono distruzioni e crolli quando si confrontano con la vita vissuta.

Il problema fondamentale della chiesa oggi è dunque questo: come poter conciliare la gestione di una struttura politica ed economica con la necessità di dover assicurare a ogni uomo il diritto di ricevere la buona notizia? È nel dialogo con Pilato, avvenuto in greco, che Gesù detta una dottrina politica propria che sembra faticare ad essere compresa dal pensiero politico cristiano dopo Tessalonica. Per un commento di questo vedi Benedetto XVI nel terzo punto del settimo capitolo del secondo tomo di “Gesù di Nazareth”, intitolato “Il processo a Gesù” cui senz’altro rimando.

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Scritto da Nicola Sparvieri il 18/04/2022. Pubblicato in Spazio Libero. Lascia un commento

Oltre all’incubo sempre più pressante di smaltire la spazzatura che produciamo nella nostra vita ordinaria (circa 500 kg a persona per anno in Italia) ora abbiamo anche generato spazzatura nello spazio e cominciamo ad avere seri problemi di gestione anche lì.

Ovviamente non stiamo parlando di spazzatura cui siamo abituati sulla Terra e cioè in termini di divisioni in plastica, umido, vetro o residui metallici, ma parliamo di detriti abbandonati in orbita. Sono stadi di razzi utilizzati per il lancio di satelliti, frammenti di satelliti non più utilizzati, polveri e materiale vario che continua ad orbitare intorno alla Terra.

Alcuni si trovano in orbita bassa, chiamata LEO (Low Hearth Orbit cioè dai 160 Km che sono i limiti dell’atmosfera ai 2.000 Km delle fasce di Van Allen), e quindi molto vicini alla Terra. Alcuni di questi frammenti prima o poi riusciranno ad attraversare l’atmosfera terrestre e a ricadere verso la Terra autodistruggendosi nel contatto con l’atmosfera. Altri invece sono in orbite più elevate (dai 2.000 Km a oltre i 35.786 Km delle orbite geostazionarie) e quindi troppo lontani per rientrare sulla Terra e sono destinati a rimanere in orbita anche per secoli.

Ad oggi la americana US Space Surveillance Network (SSN), che è la più importante sorgente di informazioni sulla situazione spaziale, afferma che sono presenti circa 35.000 oggetti spaziali rivelabili con dimensioni maggiori di 10 cm e con una massa totale di circa 8.500 Tonnellate.

Per gli oggetti più piccoli e cioè di dimensioni comprese tra 1 cm e 10 cm bisogna aggiungere altri 875.000 oggetti con una massa di circa 100 Kg complessivi.

In sostanza possiamo dire che ci sono, nelle varie orbite terrestri, 910.000 oggetti di massa complessiva pari a 8.600 Tonnellate!

Se venissero considerati anche gli oggetti di dimensioni piccolissime e cioè maggiori o uguali a 1 mm l’ESA (European Space Agency) stima una presenza di 130 milioni di oggetti di massa complessiva pari a 8.610 Tonnellate.

Ovviamente tutti questi dati sono relativi a oggi ma le attività spaziali sono in pieno sviluppo, specialmente per quello che riguarda l’utilizzo di orbite basse che sono quelle che ospitano tutti quei satelliti che guardano alla Terra per telerilevamento spaziale utilizzando costellazioni di satelliti già programmati per il lancio nei prossimi anni.

Tutta questa situazione potrebbe provocare uno scenario nel quale il volume di detriti spaziali che si trovano in orbita diventa così elevato che le collisioni degli oggetti potrebbe diventare così frequente da creare una reazione a catena nella quale vengono generati altri detriti i quali a loro volta genererebbero altre collisioni e cosi via. Questo scenario è chiamato la sindrome di Kessler dal consulente NASA Donald J. Kessler che dal 1978 ci metteva in guardia su questi problemi.

Ma anche senza considerare la sindrome di Kessler potremmo considerare gli effetti che potrebbe avere la collisione di un frammento proveniente da un detrito di “spazzatura senza valore” su un costosissimo sistema spaziale operante e funzionante e presente sulla stessa orbita.

Per capire la natura del problema bisogna considerare che nelle orbite terrestri basse il tempo impiegato da un detrito per fare un giro completo intorno alla Terra è di circa 90 minuti e questo corrisponde ad avere una velocità di circa 27.400 Km/h. In queste condizioni anche un semplice bullone di acciaio di 1 cm quando impatta provoca un danno paragonabile a quello di una bomba a mano contenente circa 64 grammi di tritolo.

Un oggetto di 10 cm può causare l’interruzione catastrofica di missioni satellitari provocando cambiamenti sostanziali nelle orbite di appartenenza o esplosioni con le batterie o i propellenti contenuti.

Il punto importante è che i detriti inferiori ai 10 cm non sono rivelabili dai radar terrestri e quindi non sono intercettabili. Tutte le azioni di mitigazione del rischio di impatto tra un detrito e un sistema spaziale funzionante possono aver luogo solo per detriti “grandi”. Il rischio può essere tale, non solo per il funzionamento del satellite stesso, ma anche per gli eventuali astronauti che lo abitano.

Inoltre esiste anche un rischio derivante dai detriti che spontaneamente fanno rientro in atmosfera e che, per loro dimensione, possono costituire un pericolo per aerei civili o militari. I casi osservati sono tuttavia trascurabili ma potrebbero aumentare con il moltiplicarsi in futuro del numero dei detriti e delle loro dimensioni e masse.

Cosa si può fare? Gli interventi possono essere divisi in due categorie principali:

La prima consiste nel gestire al meglio la situazione presente cercando di eliminare in qualche modo i detriti esistenti.

La seconda consiste nel progettare un corretto modo di inviare sistemi spaziali nel futuro che prevedano un sistema di deorbiting cioè di perdita di quota rientrando in atmosfera e distruzione.

Certamente non è nuovo per l’uomo doversi confrontare con un errore commesso ai danni dell’ambiente. Forse può sembrarci strano ma nel contesto di “ambiente” è presente anche lo spazio nel quale la presenza antropica sarà sempre più intensa nel futuro.

Al pari di altri contesti nei quali non si riesce ad avere una pianificazione accettabile come ad esempio il cambiamento climatico, lo sfruttamento eccessivo dei combustibili fossili, il disboscamento selvaggio, l’uso di fertilizzanti chimici, la migrazione incontrollata delle popolazioni, l’abbandono delle campagne ecc; anche nel campo dei detriti spaziali ci dobbiamo confrontare con la nostra mancanza di pianificazione e di controllo.

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Scritto da Nicola Sparvieri il 13/03/2022. Pubblicato in Spazio Libero. Lascia un commento

Una popolazione che cresce in modo indefinito finirà prima o poi per esaurire le risorse e gli spazi vitali a sua disposizione. La specie umana nel corso della sua storia ha dovuto compensare, come tutte le altre specie presenti sul pianeta, il basso tasso di aspettativa di vita con uno sforzo verso una natalità illimitata. L’incredibile sviluppo della specie umana sulle altre specie e il collegato danno ambientale dovuto all’inquinamento del pianeta producono in tutti noi un’ansia latente.

La fantascienza racconta storie che vengono ambientate in un futuro immaginato. Uno dei più famosi autori di racconti di fantascienza, il biologo Isaac Asimov, nel 1979 scrisse un libro dal titolo “A Choiche of Catastrophes” (Catastrofi a Scelta, ed. Mondadori). Il libro è un’analisi di tutte le possibili apocalissi che incomberebbero sul pianeta Terra. Alla fine del libro Asimov ne focalizza una in particolare: la crescita della popolazione. Questo timore si ricollega alle teorie del Pastore della Chiesa Anglicana Thomas Malthus che pubblicò nel 1798 il celebre ” Saggio sul principio della popolazione” in cui sostenne che la popolazione tenderebbe a crescere più velocemente della disponibilità di alimenti. La ovvia conclusione dell’analisi è che una popolazione che cresce non può in alcun modo continuare a farlo in modo indefinito e finirà prima o poi per esaurire risorse e spazi vitali.

La teoria demografica di Malthus ispirò vari intellettuali e originò la corrente del malthusianesimo che sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l’impoverimento dell’umanità. Le sue idee furono riprese intorno al 1920 da Margaret Sanger (negli USA) che fondò la Planned Parenthood e più tardi divenne presidente della IPPF (International Planned Parenthood Federation). La Sanger fu anche la fondatrice del movimento “Sessualità libera” e ricoprì il ruolo di principale finanziatore nella ricerca sulle “Pillole Abortive”. Negli anni ’30 la famiglia Rockefeller comincia a finanziare la causa di Margaret Sanger, utilizzando il suo metodo di controllo delle nascite come soluzione alla crisi di quel tempo. Per l’America di quel tempo, infatti, la contraccezione, l’aborto e la sterilizzazione erano la risposta al fatto che al mondo circa un miliardo di persone viveva nella povertà. Nel 1957 fu pubblicato un trattato dal titolo “Popolazione: un dilemma internazionale”, il quale denunciava la crescita demografica come la più grande minaccia alla stabilità politica negli Stati Uniti e all’estero, nonché al progresso economico del paese. Nel 1966 il controllo della popolazione era parte integrante della politica estera statunitense. Il bilancio chiamato Food for Freedom identificò nell’esplosione demografica mondiale, in particolare in quella del terzo mondo, uno dei motivi della fame nel mondo, e decise che le donazioni destinate agli aiuti alimentari fossero investite nell’ambito dei programmi di pianificazione familiare nel terzo mondo. In tempi più recenti, nel 1972, il binomio malthusianesimo-ambientalismo emerge esplicitamente quando viene pubblicato “Il Rapporto sui limiti dello sviluppo”, commissionato al MIT dal Club di Roma. Il rapporto, basato su una simulazione al computer, prediceva le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.

Questa tendenza a reagire all’incontrollato boom demografico è stata, in buona parte, fisiologica. Queste prime reazioni si possono catalogare come reazioni “a caldo”. Ma col passare del tempo negli USA cominciò a diffondersi un progetto di pianificazione familiare ideato da Frederick Jaffe, (presidente del Guttmacher Institute dal 1968 al 1978). Egli fu vicepresidente anche della International Planned Parenthood Federation, e mise a punto per conto di queste istituzioni un memorandum di proposte per ridurre la fertilità umana. Queste proposte, attraverso Bernard Berelson presidente della Population Council, diventeranno oggetto di analisi anche da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevedendo in tal modo di limitare a livello sociale la fertilità mediante alcuni strumenti di azione. Le proposte sono suddivise in tre parti, una prima parte ad “impatto universale” basate su una destrutturazione della famiglia, una sorta di ingegneria sociale atta a scardinare la propensione alla natalità. La seconda parte ad “impatto selettivo” avrebbe dovuto agire in funzione della condizione economica (deterrenti economici) con un meccanismo che consente maggiore natalità ai ricchi. La terza parte si focalizza su “controllo sociale” attraverso estensione dei metodi di contraccezione ed aborto. Si può notare che, dal 1969 ad oggi molte di queste misure sono state introdotte nella legislazione di molti paesi sviluppati.

Questa tendenza pienamente presente e operante a livello globale che chiamerei neomalthusiana vuole incidere sui governi da un lato e sulla cultura e le usanze globali dall’altro, introducendo nuovi valori morali. Ad esempio, vi sono correnti molto forti sia nell’ONU (ed anche nella UE) con una visione anti natalità molto accentuata. Dietro i cosiddetti diritti riproduttivi si cela, nell’accezione dell’Onu, più che altro, i diritti a non riprodursi. Vi sono anche esempi di manipolazione linguistica adottati in ambito Onu. Per esempio: il “materiale per il pronto soccorso ostetrico”, su cui l’Unpfa (il Fondo ONU per la Popolazione) investe ingenti fondi, maschera i kit abortivi; il termine gender – “genere” – sostituisce “sesso”, per cancellare ogni dimensione procreativa; similmente, “genitorialità” sostituisce “maternità” e “paternità”; ecc.

Altre due costrizioni sociali ad impatto universale del memorandum di Jaffe, sono quelle che suggeriscono l’alterazione dell’immagine tradizionale della famiglia, “l’istruzione obbligatoria dei bambini” e “l’incoraggiamento ad una maggiore omosessualità”. Queste due costrizioni sociali riaffiorano oggi prepotentemente ben amalgamate nell’ideologia gender. Detto memorandum riteneva che qualsiasi forma di sessualità fra adulti, non dannosa e senza procreazione, alla luce del problema del controllo delle nascite, dovesse essere considerata un “diritto morale” dell’uomo.

Per alcuni, tutto ciò non sarebbe un problema serio, in quanto viene ritenuto non essere possibile modificare la natura di un individuo obbligandolo a perseguire comportamenti sessuali che non desidera. Il punto è che l’obiettivo del metodo Jaffe è quello di agire sull’educazione sessuale dei giovani in modo da indurli ad uno stile di vita che riduca o rimuova la propensione alla natalità una volta diventati adulti. Questo, come potrebbe dimostrare qualunque pedagogista o psicologo dell’età evolutiva è estremamente facile, basta infatti orientare il bambino, che per sua natura è caratterizzato da mancanza di autocontrollo, facilità di indottrinamento e maggiore incoscienza, a fare esperienze che alterino la sua idea della sessualità dissociandola dal concepimento.

Ma quali sono stati fino ad ora i risultati di questa politica globale di lotta alla natalità con ogni mezzo?

Le proiezioni dell’ ONU ci consegnano per il 2050 una Terra con poco più di 9 miliardi di persone, in cui cresce la percentuale di popolazione africana (+8,4% rispetto al 2000) e si contrae ulteriormente la percentuale della popolazione europea (solo il 7,6% della popolazione mondiale, – 4,3% rispetto al 2000). Queste proiezioni evidenziano una diminuzione della fertilità passando dall’attuale livello mondiale di 2,5 bambini per donna a 2,1. Infatti, il dato certo è che al crescere dello sviluppo economico diminuisce il tasso di fertilità, ovvero il numero di figli per donna il cui valore minimo deve essere 2.1 per assicurare il ricambio generazionale. L’incremento dei paesi sviluppati è fittizio in quanto deriva esclusivamente dai flussi migratori.

La conclusione di questa politica è che i paesi più sviluppati hanno ormai un tasso di crescita negativo ed inferiore a quello necessario al ricambio generazionale (2.1) e riescono a colmare tale lacuna solo attraverso i movimenti migratori da altri paesi. Paradossalmente in alcuni paesi il problema che si presenta attualmente non è più limitare la crescita della popolazione, ma come impedirne l’estinzione e gestire il crescente numero di anziani. È in questo contesto che spingere su Eutanasia e Suicidi Assistiti trova la sua ragione d’essere. Le nazioni che si trovano a ridosso di questa fase demografica negativa sono quelle nazioni in Europa e USA che verso la fine degli anni 60 hanno portato avanti una programmazione anti natalità investendo ingenti risorse finanziarie nella messa a punto di sostanze contraccettive ed abortive.

Aumentare il livello di vita dei paesi più poveri è il mezzo più naturale di equilibrare il tasso di crescita. La risposta non sembra dunque nelle campagne di denatalità imposte dall’alto o in strategie di ingegneria sociale ma in una distribuzione della ricchezza e delle risorse che lasci all’uomo ed alla donna quella libertà e responsabilità personale di procreare che la natura gli ha concesso.

Se si riequilibrasse la ricchezza di cui il nostro pianeta è dotato, e che appartiene a tutti, si arriverebbe al controllo demografico partendo dalla responsabilità di ciascuno, e si raggiungerebbe la regolamentazione dei flussi migratori in modo naturale e autodeterminato.

Scritto da Nicola Sparvieri il 15/02/2022. Pubblicato in Spazio Libero. Lascia un commento

Il termine logica deriva dalla parola greca “Logos” che ha molti significati, tra i quali: ragionamento, ragione, studio, spiegazione, parola, linguaggio. Dai filosofi presocratici in poi, lungo tutti i tentativi di poter comprendere il mondo, troviamo le varie forme del logos, il principio primo dal quale tutte le cose hanno origine e possono essere comprese, dal fuoco o l’acqua o gli atomi indivisibili di Democrito, al logos incarnato del prologo del Vangelo di Giovanni.

Col procedere della storia della civiltà la logica, intesa come studio del corretto modo di ragionare, è diventata lo strumento preliminare indispensabile per intraprendere lo studio di qualunque disciplina.

Partendo dall’analisi del linguaggio umano essa si è poi allargata alla matematica e ne ha sondato moltissimi aspetti regalandoci anche alcune splendide e sorprendenti conclusioni (dai teoremi di incompletezza di Godel alle definizioni di verità di Tarsky).

Noi umani abbiamo la caratteristica della razionalità che è legata al linguaggio e alle le relazioni tra individui. Tuttavia dobbiamo saper riconoscere che la razionalità non esaurisce lo specifico dell’ “animale uomo”. Il nostro essere in carne e ossa ci proietta nella nostra mortalità la quale apre le porte a quella inquietudine di fondo che ci consente anche di aprirci alla metafisica e alla  cultura dello spirito e del mistero, esista una forma profonda di Verità e di Conoscenza.

I nostri stessi Comportamenti sono una matassa inestricabile tra le pulsioni animalesche degli antenati delle caverne e la splendida razionalità cartesiana che abbiamo sviluppato negli ultimi due millenni. In questa sintesi tremenda e bellissima camminiamo sulla Terra noi umani che portiamo in una fragile struttura biologica e mortale, frutto di milioni di anni di evoluzione, la nostra razionalità potentissima e super-evoluta, ma nello stesso tempo cosi provvisoria e destinata a finire.

Dunque siamo una sintesi tra aspetti razionali e aspetti che non lo sono affatto e in questa nostra vita siamo condotti a volte a prendere decisioni vitali nelle quali non possiamo applicare del tutto criteri di razionalità Logica spesso per mancanza di una conoscenza dettagliata delle situazioni nelle quali siamo o a causa della limitatezza dei nostri sensi o perché non abbiamo tempo sufficiente per una analisi approfondita. In tutti questi casi le scelte sono quelle tipiche di un uomo che valuta istintivamente un grande numero di variabili che non conosce bene e esce con una decisione ma spesso non sa spiegare nel dettaglio il motivo della scelta.

La Logica sfumata o Logica Fuzzy, nata nel 1965 dai lavori di Lofti A. Zadeh, allora direttore del Dipartimento di Ingegneria Elettrica della Università di Berkeley è una forma di Logica che modella matematicamente questo stato di cose. Essa è stata sviluppata per poter offrire un aiuto a districarsi in casi nei quali non esiste la possibilità di applicare i criteri classici della Logica per mancanza di informazioni o per la necessità di scegliere in fretta. Essa costituisce un tentativo interessante di razionalizzare condizioni tipicamente umane di sintesi di aspetti razionali e irrazionali.

La Logica Aristotelica sostiene che non si può affermare e negare al tempo stesso, e afferma che non si può affermare che un certo essere sia, e contemporaneamente non sia. I suoi principi hanno influenzato in modo determinante il metodo scientifico occidentale e hanno lasciato in eredita la logica bivalente secondo cui ogni enunciato può essere solo vero o solo falso. Essa fa costante riferimento al principio di non contraddizione che ha pervaso tutto il pensiero matematico scientifico occidentale fino ai giorni nostri.

La Logica Sfumata di Zadeh lavora con le “variabili linguistiche”, cioè con categorie più o meno ordinate, e con insiemi dai contorni imprecisi, in cui gli elementi possano essere ambigui. Per esempio “Giovane” -“non molto giovane”- “di mezza età”, ecc sono etichette verbali che corrispondono ad insiemi sfumati, caratterizzati cioè da funzioni di appartenenza non binarie. La funzione di appartenenza degli insiemi che rispettano il requisito della mutua esclusività può assumere solo due valori (0 se l’oggetto non appartiene all’insieme, 1 se vi appartiene); l’analoga funzione fuzzy può invece assumere qualsiasi valore compreso tra 0 e 1. In questo modo, una persona che giudichiamo “abbastanza giovane” appartiene, poniamo, per lo 0,70 alla classe dei giovani e per lo 0,30 a quella dei non giovani. Secondo la Logica Sfumata, “giovane” e “non giovane” sono i poli di un continuum tra i quali esistono molte gradazioni; anziché tracciare un confine netto tra A e non-A (giovane e non-giovane) in corrispondenza di un punto scelto in modo più o meno arbitrario, la Logica Sfumata traccia una curva, che descriva come la proprietà “essere giovane” passi gradatamente dal manifestarsi in grado pieno al non manifestarsi affatto. La stessa parola Sfumato rappresenta bene il passaggio da una Logica bianco-nero cioè vero che si contrappone a falso e “questo elemento appartiene a questo insieme” con qualcosa di confuso e di poco chiaro in cui non è possibile capire tutto perché non tutto è capibile dato che i contorni delle cose non sono distinguibili e spesso non si può neanche definire una cosa in modo inequivocabile (chi sono io? chi sei tu?). Negli insiemi Sfumati non vale il principio di non contraddizione quindi se una cosa è vera non è escludibile che sia vero anche il suo contrario.

In Logica Sfumata i paradossi classici della Logica come ad esempio il paradosso del mentitore che generavano un regresso all’infinito nella Logica tradizionale sono sdoganati attribuendo un concetto di “verità parziale” alle assunzioni.

Ma la cosa veramente sorprendente è che le prime applicazioni della Logica Sfumata a sistemi reali si sono dimostrate molto ben funzionanti, segno che la “realtà” comprende in un qualche senso la Logica Sfumata e la riconosce valida. Per esempio il riconoscimento di immagini in moltissimi campi, dalla diagnostica medica al telerilevamento satellitare ai riconoscimenti facciali. Ma le applicazioni più sorprendenti sono quelle nelle quali si simula meglio il comportamento delle scelte umane e quindi la Logica Sfumata si applica nei Sistemi che autoapprendono e scelgono la miglior soluzione nei contesti che mutano. Ad esempio dei microprocessori a Logica Sfumata sono stati montati su lavatrici che scelgono autonomamente il tipo di lavaggio a seconda del carico o del livello di macchie dei tessuti o vengono inseriti nei quadri comando delle metropolitane per decidere il numero di corse ottimali in funzione dell’affollamento e cosi via.

L’ultimo aspetto da sottolineare in questo tipo di approccio è una considerazione sulle “stranezze” del Mondo Microscopico descritte dalla Meccanica Quantistica. Il Principio di Indeterminazione o la natura ondulatoria della Materia, l’Entanglement o la presenza di Materia Oscura potrebbero farci pensare che le categorie della Logica e l’associato nostro modo di pensare tradizionale debba lasciare il passo a nuovi modi di descrivere la realtà. Essi sono senz’altro sorprendenti e sulla prima fastidiosi ma forse si rivelano più adatti a descrivere un Mondo che, mano mano che si scopre meglio, risulta sempre più diverso da come ce lo aspettiamo.

Scritto da Nicola Sparvieri il 13/01/2022. Pubblicato in Spazio Libero. Lascia un commento

La caduta del muro di Berlino non è stata soltanto l’esito del fallimento politico del socialismo reale. Non è neanche stata la fine di una classe politica, quella sovietica, bollita e ridotta soltanto al più bieco politichese arido e ottuso che tratta i dissidenti con brutale violenza reazionaria. No, la caduta del muro ha rappresentato qualcosa di molto più profondo. Essa incarna il fallimento definitivo di un razionalismo semplicista che proponeva finalmente il raggiungimento di una società giusta per tutti, applicando delle semplici regole sociali inderogabili. Regole quali l’eliminazione della proprietà privata, la casa e il lavoro per tutti e una gestione collettiva soltanto nominale e in realtà rigorosamente controllata dal partito unico. Questi principi venivano attuati mediante la gestione centralizzata dell’economia e di tutti i mezzi di produzione e di comunicazione di massa in una assoluta mancanza di dissidenza interna.

Questa idea della società e dell’egemonia del proletariato su tutte le altre classi è stata sviluppata da Marx e Engels a metà Ottocento e, come tutti sappiamo, ha trovato concreta realizzazione in Russia, a inizio Novecento, a seguito della rivoluzione bolscevica che ha visto in Lenin uno dei leader principali. Lo stato socialista che ne è derivato, l’Unione Sovietica, è quindi il primo esperimento di “socialismo reale” nel mondo.

La società socialista qui sopra descritta ha la caratteristica di non essere nativa in una nazione particolare, ma si sviluppa, tramite una rivoluzione, in qualunque stato. In questo senso essa non è dipendente da un uomo che ne è l’iniziatore ma è un fenomeno globale che si sviluppa come lotta di classe tra aristocrazia, clero, borghesia e proletariato, rurale o industriale. In questo modo la storia stessa dell’umanità viene interpretata come lo “sforzo” di ottenere l’egemonia di una classe su tutte le altre.

Va da sé che l’esportabilità della rivoluzione social-comunista produce una reazione in tutti gli stati liberali che si sentono da essa minacciati. La presenza stessa di partiti comunisti, collegati e finanziati dall’Unione Sovietica, in ogni nazione costituisce una minaccia. La Germania di Hitler, il comune nemico nazista sia delle democrazie occidentali che dell’Unione Sovietica, consente una paradossale, temporanea, alleanza tra i due antagonisti. Ma, finita la Seconda guerra mondiale, le ostilità riprendono più forti di prima. Il mondo viene proprio diviso in due blocchi convenendo perfino sui confini delle zone di influenza e da allora fino alla caduta del muro di Berlino è guerra fredda tra i sovietici e il cosiddetto mondo libero.

L’Umanità non è nuova al tentativo di voler realizzare una società perfetta e giusta. Platone parlava di uno stato governato dai filosofi e cercò praticamente di realizzarlo a Siracusa anche a suo rischio personale. La politica, nella sua concezione più alta, ha il fine di arrivare a una società giusta. Essa si può realizzare passando attraverso una rivoluzione più o meno violenta in cui il passato si abbatte e viene ricostruito il nuovo, oppure accettando un processo più lungo ma meno aggressivo che è quello delle riforme che, con piccoli cambiamenti, arriva più lentamente allo stesso risultato. Chiaramente nello scegliere la via riformista è necessario che, almeno sui fondamentali, tutti i governi che si succedono abbiano le stesse finalità. Questo purtroppo non è sempre così e spesso ci si ritrova a compiere larghi cerchi inutili ritrovandosi alla fine al punto di partenza.

Molti in buona fede hanno creduto veramente al socialismo reale e per essi bisogna avere profondo rispetto. Il punto, però, è che nello sforzarsi di compiere il bene si possono anche produrre milioni di morti! E allora ci si chiede: dov’è l’errore? In quale punto l’analisi ha difettato? Perché, dopo aver applicato con precisione la ricetta indicata dal filosofo del comunismo, non si è raggiunto il risultato sperato? Io credo che l’uomo non si possa ridurre semplicisticamente a un insieme di bisogni da soddisfare. Non basta farlo mangiare e dargli una casa per farlo vivere in una pace sociale forzata per risolvere tutti i suoi problemi. L’uomo ha una complessità molto più elevata di questo. Ridurre tutto a un problema economico e monetizzabile vuol dire pensare all’uomo come a poco più che un animale cui devi dare ogni giorno da mangiare, cambiare l’acqua e pulire la gabbietta. Non c’è soltanto la dimensione corporea e mentale ma anche una innata e incontenibile esigenza di libertà che non si può in alcun modo limitare, e possono anche passare settant’anni e milioni di morti, ma verrà comunque fuori per abbattere qualunque muro.

guerra fredda. socialismo reale, Muro di Berlino

Scritto da Nicola Sparvieri il 20/12/2021. Pubblicato in Spazio Libero. Lascia un commento

I re­sti del pa­laz­zo del­la re­gi­na di Saba, ri­sa­len­te al de­ci­mo se­co­lo avan­ti Cri­sto sono sta­ti sco­per­ti nel 2008 sot­to i ru­de­ri di un al­tro edi­fi­cio co­strui­to da un re cri­stia­no vis­su­to suc­ces­si­va­men­te. 

Pro­ba­bil­men­te la re­gi­na era ori­gi­na­ria di Ma­rib, un in­se­dia­men­to ad est di Sa­na’a, nel­l’at­tua­le Ye­men, che era la ca­pi­ta­le del­l’an­ti­ca Saba. Ma­rib era si­tua­ta nel pun­to in cui si in­cro­cia­va­no le ca­ro­va­ne che tra­spor­ta­va­no in­cen­so in di­re­zio­ne del mar Ros­so e l’in­te­ra re­gio­ne con il pas­sa­re de­gli anni, a cau­sa dei for­tu­na­ti e fio­ren­ti com­mer­ci, pre­se il nome di Ara­bia Fe­lix.

Quin­di la re­gi­na di Saba, se ve­ra­men­te è esi­sti­ta, era nata e vi­ve­va a Ma­rib, al cen­tro del de­ser­to. La leg­gen­da vuo­le che ella fos­se straor­di­na­ria­men­te bel­la e af­fa­sci­nan­te e che fos­se ric­chis­si­ma. La sua mi­ti­ca pre­sen­za era cir­con­da­ta dal­lo splen­do­re di gran­di tem­pli e pa­laz­zi an­che se que­sto oggi a noi non sem­bra pos­si­bi­le in una ter­ra così de­so­la­ta e ari­da. Gli sca­vi ar­cheo­lo­gi del­l’e­ra mo­der­na, però, han­no sco­per­to un gran­dio­so si­ste­ma d’ir­ri­ga­zio­ne che tra­sfor­mò il de­ser­to in un giar­di­no col­ti­va­bi­le e ric­co di pa­sco­li. L’ac­qua pro­ve­ni­va dal­la gran­dio­sa diga di Ma­rib, lun­ga 640 me­tri ed alta 11 si­tua­ta in pie­no de­ser­to in fon­do allo Wadi Ad­ha­na. Di que­sta diga sono an­co­ra evi­den­ti le ro­vi­ne che co­sti­tui­sco­no una del­le me­ra­vi­glie in­ge­gne­ri­sti­che del mon­do an­ti­co, ri­ma­ste pe­ral­tro igno­te al mon­do me­di­ter­ra­neo, ed è una del­le prin­ci­pa­li ra­gio­ni del­la ec­ce­zio­na­le fio­ri­tu­ra del­la cul­tu­ra sa­bea che fece dei traf­fi­ci del­l’in­cen­so e di al­tre pre­zio­se spe­zie etio­pi­che il mo­ti­vo prin­ci­pa­le del­la sua ric­chez­za e del­la sua mi­ti­ca fama. 

Il do­mi­nio dei Sa­bei si esten­de­va an­che sul con­ti­nen­te afri­ca­no com­pren­den­do l’at­tua­le, Eri­trea, So­ma­lia e so­prat­tut­to l’E­tio­pia, dove ad Axum ven­ne sta­bi­li­ta la sede dei so­vra­ni del­l’im­pe­ro axu­mi­ta e il cui sito at­tua­le è l’og­get­to del ri­tro­va­men­to de­gli ar­cheo­lo­gi te­de­schi.

Da un pun­to di vi­sta sto­ri­co, i ri­fe­ri­men­ti alla re­gi­na di Saba che pos­se­dia­mo sono pre­sen­ti, ol­tre che nel­la Bib­bia, an­che nel Co­ra­no e nel Ke­bra Na­ga­st, il Li­bro del­la Glo­ria dei Re del­l’E­tio­pia, un an­ti­co te­sto di straor­di­na­rio in­te­res­se e Li­bro Sa­cro per i Ra­sta­fa­ria­ni (o Ra­sta) che si pre­sen­ta­no come ere­di del cri­stia­ne­si­mo da Hai­lé Se­las­sié (Ra­sTa­fa­ri) a Bob Mar­ley con la sua mu­si­ca Reg­gae. 

Nel li­bro sa­cro del Ke­bra Na­ga­st (scrit­to tra il 300 e il 400 DC ma ul­ti­ma­to nel 1300) ven­go­no ri­por­ta­te sto­rie del tut­to si­mi­li a quel­le Bi­bli­che da Ada­mo, ed i suoi fi­gli Abe­le, Cai­no e poi ri­fe­ri­men­ti a Noè e Set; ad Abra­mo e alla sua ami­ci­zia con Dio. La di­scen­den­za di Abra­mo poi co­no­sce­rà l’Ar­ca del­l’Al­lean­za, co­strui­ta se­con­do i det­ta­mi co­mu­ni­ca­ti da Dio a Mosè sul mon­te Si­nai, e ge­lo­sa­men­te cu­sto­di­ta dal po­po­lo ebrai­co nel­la ten­da e, suc­ces­si­va­men­te, nel Tem­pio di Ge­ru­sa­lem­me fat­to co­strui­re dal sag­gio Re Sa­lo­mo­ne, fi­glio del Re Da­vi­de e del­la bel­lis­si­ma Be­tsa­bea.

Ma sen­za dub­bio per i cre­den­ti Ra­sta la vi­cen­da chia­ve che il Li­bro rac­con­ta è rap­pre­sen­ta­ta dal­l’in­con­tro tra il so­vra­no di Israe­le Sa­lo­mo­ne, e la re­gi­na di Saba, chia­ma­ta nel Li­bro Ma­ke­da o la Re­gi­na del Sud, che “in­na­mo­ra­ta del­la sua sag­gez­za” af­fron­ta il lun­go viag­gio fino a Ge­ru­sa­lem­me per co­no­scer­lo ed ap­pren­der­ne le vir­tù. Il Li­bro de­scri­ve l’in­con­tro tra i due so­vra­ni e il loro pro­fon­do ed ap­pas­sio­nan­te amo­re che ne de­ri­va, e che pro­vo­che­rà de­gli im­por­tan­ti cam­bia­men­ti nel­la vita del­la Re­gi­na e nel­la sto­ria suc­ces­si­va del suo po­po­lo. An­zi­tut­to la Re­gi­na Ma­ke­da de­ci­de da al­lo­ra che non ado­re­rà più il Sole come i suoi avi, ben­sì il Dio di Israe­le, come Sa­lo­mo­ne, suo uni­co e de­fi­ni­ti­vo amo­re. 

Inol­tre il Li­bro rac­con­ta che il Re, dopo aver tra­scor­so una not­te in­sie­me alla Re­gi­na, al mat­ti­no se­guen­te ha una vi­sio­ne pre­mo­ni­tri­ce di una di­scen­den­za. Pri­ma che Ma­ke­da par­ta per tor­na­re al suo re­gno, il Re le re­ga­la un anel­lo spe­cia­le da do­na­re al loro fu­tu­ro fi­glio. Dal­la loro unio­ne in­fat­ti na­sce­rà un bam­bi­no, Bay­na-Le­h­kem (Fi­glio del Sag­gio), in se­gui­to Im­pe­ra­to­re col ti­to­lo di Me­ne­lik I, ori­gi­ne del­la stir­pe dei so­vra­ni d’E­tio­pia. 

Que­sti, rag­giun­ti i ven­ti­due anni, par­te da Axum alla ri­cer­ca del pa­dre as­sie­me al pre­zio­so anel­lo di Re Sa­lo­mo­ne. Il Re lo ac­co­glie con tut­ti gli ono­ri e in­si­ste per­ché re­sti a re­gna­re con lui. Egli, de­ci­so a tor­na­re nel­la ter­ra ma­ter­na, co­strui­sce una co­pia in le­gno del­l’Ar­ca, e tra­fu­ga l’o­ri­gi­na­le ver­so l’E­tio­pia. 

Il tra­sfe­ri­men­to del­l’Ar­ca vie­ne quin­di let­to sim­bo­li­ca­men­te come un pas­sag­gio del­la di­scen­den­za bi­bli­ca di Israe­le in Etio­pia, e quin­di per i Ra­sta­fa­ria­ni il Li­bro sa­cro del­la Glo­ria dei Re spie­ga il nes­so tra il re­gno di Israe­le e quel­lo di Etio­pia, rap­pre­sen­ta­to da Me­ne­lik I e dal­la sua di­scen­den­za. L’E­tio­pia è quin­di la nuo­va ter­ra elet­ta da Dio, al po­sto di Israe­le.

Vi è poi un’al­tra se­zio­ne del Li­bro nel­la qua­le è rac­con­ta­to di come un an­ge­lo an­nun­ci alla ma­dre di San­so­ne, un na­zi­reo, che il fi­glio avreb­be un gior­no li­be­ra­to Israe­le dai Fi­li­stei, e la in­vi­ti a far­lo cre­sce­re il­li­ba­to. Dio è dun­que ge­ne­ro­so con San­so­ne per la sua in­te­gri­tà, e gli dona una for­za spro­po­si­ta­ta le­ga­ta al fat­to di non ta­glia­re mai i suoi ca­pel­li. Dà­li­la, fi­glia di un av­ver­sa­rio Fi­li­steo, lo se­du­ce e ta­glia i suoi ca­pel­li nel son­no. Dio, per pu­nir­lo, lo fa al­lo­ra cat­tu­ra­re dai suoi stes­si ne­mi­ci, che lo ac­ce­ca­no e gli ta­glia­no i lun­ghi ca­pel­li in­trec­cia­ti, ren­den­do­lo de­bo­le e im­pri­gio­nan­do­lo. San­so­ne, con le sue ul­ti­me for­ze fa crol­la­re tut­to il pa­laz­zo dove era pri­gio­nie­ro, uc­ci­den­do i suoi ne­mi­ci e se stes­so. I ra­sta­fa­ria­ni sono co­mu­ne­men­te co­no­sciu­ti per i ca­pel­li an­no­da­ti che for­ma­no del­le lun­ghe e dure cioc­che. La mu­si­ca Reg­gae di Bob Mar­ley e Pe­ter Tosh si rifà di­ret­ta­men­te a que­sta tra­di­zio­ne ap­pro­da­ta in Gia­mai­ca ne­gli anni 70.

Quan­to det­to fi­no­ra sul­la Re­gi­na di Saba e sul­la sua straor­di­na­ria sto­ria è ri­ca­va­ta dal­le in­for­ma­zio­ni con­te­nu­te nel Li­bro Sa­cro dei Ra­sta­fa­ria­ni ma cosa pos­sia­mo dire di lei che de­ri­vi dal­la tra­di­zio­ne bi­bli­ca ed evan­ge­li­ca che è a noi più vi­ci­na? E quan­to di quel­lo che pro­vie­ne dal­la no­stra tra­di­zio­ne può es­se­re coe­ren­te con la sto­ria leg­gen­da­ria che i Ra­sta rac­con­ta­no di lei?

An­che l’an­ti­co te­sta­men­to ha ri­fe­ri­men­ti al viag­gio del­la Re­gi­na di Saba per co­no­sce­re Sa­lo­mo­ne (1 Re 10,4), ed an­che il van­ge­lo di Mat­teo (12,42) “Ecco ora qui c’è più di Gio­na! La re­gi­na del Sud si le­ve­rà a giu­di­ca­re que­sta ge­ne­ra­zio­ne e la con­dan­ne­rà, per­ché essa ven­ne dal­l’e­stre­mi­tà del­la ter­ra per ascol­ta­re la sa­pien­za di Sa­lo­mo­ne. Ecco ora qui c’è più di Sa­lo­mo­ne!”.

Sa­lo­mo­ne nel­la sto­ria ebrai­ca è ri­ma­sto per ec­cel­len­za come l’em­ble­ma del sa­pien­te, ce­le­bra­to dal­la Bib­bia come au­to­re di “3.000 pro­ver­bi e 1.005 poe­sie”, ca­pa­ce di dis­ser­ta­re di bo­ta­ni­ca e di zoo­lo­gia (1Re 5,9-13). Ma la sua fi­gu­ra è le­ga­ta so­prat­tut­to alla po­li­ti­ca in­ter­na, este­ra e re­li­gio­sa. Egli era nato dal­l’a­mo­re di suo pa­dre Da­vi­de per la bel­lis­si­ma Be­tsa­bea, spo­sa­ta pro­vo­can­do la mor­te del suo le­git­ti­mo ma­ri­to Urià l’Hit­ti­ta (2Sa­mue­le 11-12). A Sa­lo­mo­ne sono sta­ti at­tri­bui­ti il li­bro del­la Sa­pien­za, il can­ti­co dei can­ti­ci e il Qo­he­let-Ec­cle­sia­ste ol­tre che l’in­te­ro li­bro dei Pro­ver­bi. 

La sua suc­ces­sio­ne era sta­ta dif­fi­ci­le per­ché di mez­zo c’e­ra un al­tro pre­ten­den­te, Ado­nia, fi­glio di Da­vi­de e di un’al­tra sua mo­glie, Ag­ghìt. Ma una vol­ta as­sun­to il po­te­re, Sa­lo­mo­ne s’e­ra ri­ve­la­to un abi­le capo di Sta­to. Aprì rap­por­ti com­mer­cia­li col co­los­so eco­no­mi­co vi­ci­no, la Fe­ni­cia, in par­ti­co­la­re col re di Tiro, Hi­ram. Fu que­st’ul­ti­mo a con­ce­der­gli as­si­sten­za tec­ni­ca du­ran­te l’at­tua­zio­ne del­la mag­gio­re del­le gran­di ope­re mes­se in can­tie­re da Sa­lo­mo­ne, quel­la del­l’e­di­fi­ca­zio­ne del tem­pio di Ge­ru­sa­lem­me, im­pre­sa du­ra­ta set­te anni, e del pa­laz­zo rea­le che di anni ne ri­chie­se ben tre­di­ci.

A que­sto pro­po­si­to l’e­ven­to del­la vi­si­ta di Sta­to del­la re­gi­na di Saba, fu an­che un’o­pe­ra­zio­ne di pro­pa­gan­da po­li­ti­ca per esal­ta­re il suo go­ver­no (1 Re 10,1-10). Ma al di là di que­sto non po­trem­mo mai sa­pe­re cosa pas­sa­va nel cuo­re del Re Sa­lo­mo­ne e se la sua re­la­zio­ne con la Re­gi­na del Sud sia sta­ta an­che una au­ten­ti­ca e sen­ti­ta pas­sio­ne.

Ri­ma­ne il fat­to che la re­gi­na di Saba è una fi­gu­ra mi­ti­ca an­che per la no­stra tra­di­zio­ne. Essa è la Sha­ron Sto­ne del­l’an­ti­chi­tà. Una fi­gu­ra af­fa­sci­nan­te e mi­ste­rio­sa im­mor­ta­la­ta nel­la Bib­bia e ce­le­bra­ta an­che nel­l’ar­te, da un ora­to­rio di Han­del a un bal­let­to di Ot­to­ri­no Re­spi­ghi, e rap­pre­sen­ta­ta nei di­pin­ti di Raf­fael­lo, Tin­to­ret­to e Pie­ro del­la Fran­ce­sca. La sua re­la­zio­ne con il Re Sa­lo­mo­ne rap­pre­sen­ta ideal­men­te an­che una spe­ran­za che pos­sa crear­si fi­nal­men­te quel le­ga­me au­ten­ti­co tra la no­stra ci­vil­tà del nord e quel­la real­tà afri­ca­na del sud che amia­mo e che ci è cara al di là di ogni pos­si­bi­le le­ci­ta di­scus­sio­ne sui flus­si mi­gra­to­ri.

Etiopia, Rasta, Regina di Saba, Salomone

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