Firenze oltre il Rinascimento di G. Barosio | Viaggi d'autore | TorinoMagazine

2022-04-22 20:41:51 By : Ms. cuihong li

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LA CITTÀ D’ARTE PER ECCELLENZA AFFRONTA SFIDE IMPRESCINDIBILI, SOSPESA TRA UN PASSATO STRAORDINARIO E UN FUTURO AMBIZIOSO. GLI UFFIZI APRONO ALL’ARTE CONTEMPORANEA, MENTRE NUOVI PROGETTI CAMBIANO IL VOLTO DELL’ACCOGLIENZA, DELLA RISTORAZIONE E DELL’OFFERTA CULTURALE. A POCHI CHILOMETRI, PRATO È UN LABORATORIO VISIONARIO E CORAGGIOSO

Se nel proprio firmamento la costellazione è composta da Botticelli, Dante, Petrarca, Boccaccio, Brunelleschi, Giotto, Cimabue, Leonardo, Donatello, Machiavelli e Michelangelo, chi cerca spazio nei secoli successivi avrà inevitabilmente vita dura. Improponibile ogni confronto, inevitabile l’ammirazione contemplativa, arduo ipotizzare qualcosa di nuovo. Così prende corpo la città museo che non teme rivalità, bellissima per definizione, enciclopedica in un catalogo di meraviglie e suggestioni che non si riescono quasi a elencare, impossibile da conoscere a fondo se non ci dedichi la vita intera, sostanzialmente inafferrabile se non sei docente di storia dell’arte. Ma sempre uguale, da 500 anni ostile 170 a piccole e grandi novità. Perché qui è nato il Rinascimento, perché qui la lingua italiana è diventata lingua di tutti, perché gli estranei sono prima sottomessi e dopo, forse, sudditi. Lo snobismo del celeste impero.

L’Arno taglia in due il centro di Firenze

Tutto il mondo conosce l’esistenza di Firenze, ma Firenze può fare a meno di guardare oltre le sue mura, oltre quel centro storico prezioso che si rivela ogni anno un magnete per i visitatori di ogni continente. Da due anni, però, quel magnete ha smesso di funzionare, la pandemia ha tenuto a casa gran parte dei 4 milioni (per 12 milioni di presenze) che accorrevano nella terza città più visitata d’Italia, dopo Roma e Milano.

Probabilmente la prima in rapporto alla popolazione, che è di “soli” 382mila abitanti. La ripresa, dopo la frenata invernale targata Omicron, impone azioni e riflessioni nuove. Pena l’arrendersi al ruolo di potenza minore, lontana da fasti fino a poco prima garantiti. Restare seduti sui gradini di Palazzo Vecchio in attesa di americani, russi e tedeschi forse non basta più. Tutto il sistema va ammodernato, dagli hotel (troppo vecchia maniera) ai ristoranti (troppo vecchia formula), alle attrazioni: perché i visitatori da tempo immemore si intruppano verso Uffizi, Palazzo Pitti e Giardini di Boboli, al rimanente vanno le briciole. Ecco, la magnifica Firenze non può più permettersi di essere vecchia, ma casomai storica, classica, persino orgogliosamente inossidabile. E deve farlo rivitalizzando il proprio patrimonio, ma scommettendo in parallelo sul nuovo, sul contemporaneo e persino sull’azzardato. Perché il turista più prezioso non è quello che viene una sola volta nella vita, ma quello che torna, come a Parigi, a Londra, a New York, dove c’è sempre qualcos’altro da vedere, dove ogni viaggio è un viaggio diverso. Per questo servono mostre dal grande impatto, concept accattivanti nella ristorazione, hotel di design internazionale, nuovi spazi, nuove idee. Oggi qualcosa a Firenze si sta muovendo, nell’approccio come nei risultati. Ed è quello che cerchiamo di proporvi in un viaggio diverso dal solito, che non trascuri le eccellenze imprescindibili, ma che costituisca una scoperta verso nuovi orizzonti. Abbiamo volutamente chiuso un occhio su quello che non ci piace: gli ancora troppi albergucci anni Settanta dalle insegne melanconiche, i ristoranti che espongono finti tagli di carne dalle vetrate, come in un horror casalingo di Mario Bava, i negozi di paccottiglia tutti uguali e le centinaia di botteghe con articoli in pelle fatti ovunque tranne che in Toscana. Se i fiorentini rifiutano il nuovo – le ultime battaglie sono contro le illuminazioni sponsorizzate di Ponte Vecchio e la ruota panoramica, peraltro provvisoria e neanche centrale – qualche ragione ce l’hanno.

Palazzo Vecchio in piazza della Signoria

Quando giunse l’unità nazionale, e Firenze fu per poco capitale, vennero sbancati interi quartieri romantici e suggestivi, in nome di una modernità banale e neppure necessaria. Però lo spirito locale, tenace e sulfureo, visse una stagione assai vivace negli anni Sessanta, con epicentro la Facoltà di Architettura, dove il “radical” fece scuola con nomi a suo tempo leggendari: 9999, Archizoom, Remo Buti, Gianni Pettena, Superstudio, UFO e Zziggurat. Una città dallo sguardo internazionale, pop e acida. «Uno dei paradossi che desta ancora molta meraviglia è che le idee più radicali sul futuro della città di stampo moderno provengono da Firenze, città storica per eccellenza», scrive Patrizia Mello nel suo travolgente saggio Neoavanguardie e controcultura a Firenze.

Dopo, però, la vena si inabissa, e sono 50 anni. Che il disgelo sia iniziato lo comprendiamo dal nostro albergo: The Student Hotel Florence. Format olandese sbarcato nel 2018 in città, TSH (www.thestudenthotel.com) rappresenta un cambio di paradigma nell’accoglienza, informale e stimolante, culturalmente “acceso” dalla presenza contemporanea di viaggiatori e studenti. Posizionato in un palazzo storico del XIX secolo, alle porte del centro aulico (15 minuti a piedi), è costellato da opere d’arte contemporanea, coloratissime e funzionali all’ambiente rigorosamente di design. Elegante come un boutique hotel, risponde a ogni esigenza di chi lo sceglie per il proprio soggiorno: camere ampie arredate con cura, ristorante, palestra, bike sharing gratuito, lounge bar collocato attorno alla piscina sul tetto con vista sulla cupola del Duomo Ma c’è dell’altro, gli ospiti convivono con gli studenti (prevalentemente internazionali) e con professionisti che soggiornano in città.

Per loro spazi coworking e coliving, uffici a noleggio, sale riunioni ed eventi, cucina comune e attrezzatissima, lavanderia, sala giochi e persino una stanza insonorizzata per suonare. Nessuno ti disturba ma tutti, se vogliono, possono fare cose insieme. Mai visto niente di simile in Italia, varcata la soglia l’impressione è di essere a Londra, Berlino oppure a New York. Per Firenze è stato come voltare pagina.

Il battistero di San Giovanni Battista in piazza San Giovanni

E anche per la ristorazione può essere così, lo abbiamo verificato. Contro la pizza senza anima dei ristoranti similpartenopei, scegliete Largo 9 (www.largo9.it) senza indugi. Il locale si trova proprio di fronte al nuovo Mercatino delle Pulci (vera tradizione fiorentina, trasferito qui da ottobre 2019) ed è caratterizzato da spazi ampi e luminosi, in accattivante stile urban chic. Sostanzialmente, il prototipo di pizzeria del nuovo millennio, anche per le tante buone idee che vanno in scena, a partire dai fantasiosi cocktail in abbinamento ideale ai piatti proposti. Che spaziano dalle tavolozze ai taglieri, dal cuzzetiello napoletano alle diverse portate territoriali e non. Regina della carta la pizza, tradizionale, fritta, oppure al padellino, al vapore. Ingredienti certificatissimi, fantasia ben orientata e grandi classici. Pizzaiolo executive, una leggenda del settore: Gabriele Dani, il trentacinquenne di Piombino che ha dato un’anima nuova a un prodotto immortale. Copizzaiolo, il suo allievo Pasquale Polcaro. La grande cucina a vista è dominata da un forno a base rotante di ultimissima generazione, ti guardi intorno e sembra di essere a Cape Canaveral, tutti concentrati, mai una distrazione, mai un gesto di troppo. Gabriele spiega con queste parole le sue creazioni: «La nostra pizza è fatta con farine di filiera italiana a basso contenuto di glutine, questo per rendere digeribile e ben masticabile il nostro lievitato. Il lievito madre finisce il lavoro conferendo sapori, profumi e conservabilità ai nostri prodotti». Uno scienziato con le mani in pasta, con una formazione che spazia dal lievito madre alla biotecnologia, dai fenomeni chimici e fisici dei prodotti della panificazione all’arte del topping. Largo 9 è gestito da Vincent Paul Piccinno e Angela D’Agostino, il bar manager è Vincenzo Pasciucco, classe ’95 che, dopo aver lavorato in un top club a Taormina, si è trasferito a Firenze per imporre la propria arte. La sua miscelazione si basa sulle sensazioni degli ospiti, valorizzando ed esaltando la qualità della materia prima, cercando abbinamenti sempre nuovi e intriganti.

Gli straordinari ambienti di Fishing Lab

Si può mangiare dell’ottimo pesce a Firenze? Sembra quasi una provocazione, nella patria della chianina e delle leggendarie costate, dei sapori di terra e del lampredotto, eppure, nel cuore del centro storico, l’arte e la gastronomia di mare hanno trovato da due anni una sintesi emozionante e sorprendente. La location non ha eguali: siamo nel palazzo che ospitò – tra il Duecento e metà del Cinquecento – l’Arte dei Giudici e dei Notai, uno spazio dove si dipinse a più riprese, facendo un prezioso uso politico dell’arte. Sul soffitto Firenze è rappresentata come una Gerusalemme Celeste, con tutti i suoi simboli araldici e istituzionali. In una lunetta si riconoscono diverse figure paludate, tra cui Dante e Boccaccio nei più antichi ritratti che siano documentati. Insomma, siamo in un museo, ma in un museo elegante e contemporaneo che oggi – tra arredi di design e architetture contemporanee – ospita Fishing Lab (www.fishinglab.it), innovativa culla per la cucina di mare. Più che di contrasto possiamo parlare di ibridazione, di perfetta fusione tra elementi diversi: un futuro ammiccante che permette la valorizzazione di un passato magistrale.

Il concept, messo a punto da Pierluigi Bizzarri, il proprietario, è cucito su misura per un cliente metropolitano “di ovunque”: vince il concetto della mezza porzione, o della tapas mediterranea, niente tovaglia ai tavoli, un informale chic che si apprezza via via che arrivano i piatti, delicati, gustosi, impeccabili. Lo chef? Ti sorridono spiegandoti che non c’è…: «Il nostro è un format che stiamo ripetendo in altre città, come Verona, dove innanzitutto conta la formula, la serialità nel ripetere quello che piace davvero ai clienti. Secondo noi il concetto di “chef patron” è obsoleto, in assoluto superato dai fatti».

Prima di andare via, date un’occhiata al locale seminterrato, potrete ammirare palafitte e ritrovamenti della Florentia romana, I secolo dopo Cristo. Insomma, qui c’è tutta la storia della città in un solo luogo, che è tornato a vivere offrendo ai sapori e alla convivialità una magnifica casa senza tempo. E ora andiamo a scoprire il futuro della tradizione, da Beppa Fioraia – Osteria con giardino (www.beppafioraia.it).

Le palafitte di Florentia romana a Fishing Lab

Diciamo subito che cosa non è: una vecchia trattoria sempre uguale a sé stessa, un luogo anonimo accalappiaturisti, un approdo da commedia all’italiana anni Settanta. Questo, invece, è il posto dove vanno innanzitutto a mangiare i fiorentini, quelli che non sono mai stati traditi e annoiati, quelli che vogliono gustare una classicità da manuale, fidandosi di chi sceglie ogni giorno sempre il meglio senza compromessi.

La storia di Beppa Fioraia parte da lontano e arriva ai giorni nostri: il suo vero nome è Giuseppina Caciotti, nata nei primi anni del 1800 a San Freudiano, ma per tutti era la bellissima Beppa. Nota per la semplicità elegante del suo modo di vestire, si narra che indossasse sempre un cappello di paglia con appuntata una margherita gialla, un piccolo scialle e che regalasse fiori a tutti, operai e gran signori, soldati e impiegati. Abitava a Monticelli ed era moglie di un giardiniere di Boboli. Aveva passo libero a Pitti e si dice che fosse nelle grazie del Granduca di Toscana Leopoldo II, ma anche che fosse la prediletta di tutta l’aristocrazia. Ma erano solo voci di invidiosi. Beppa, la fioraia, aveva un animo dolce e gentile e lasciava sempre un mazzo di fiori per la Madonna, a cui era devota, nel chiesino al termine delle mura e della spalletta del ponte, dove si diceva messa tutte le feste.

La tagliata tradizionale di Beppa Fioraia

Lo stesso animo che Firenze ricorda ancora e che si ritrova nel ristorante a lei dedicato. E che oggi è gestito da Valentina Di Gioia, un ciclone, mentre lo chef è Fabrizio Renna. Valentina accoglie, sorride, spiega, consiglia, rallegra con un sorriso complice, è una padrona di casa che fa la differenza. Le sorprese in tavola sono tante, ma non si colgono dai nomi dei piatti, quelli restano tradizionali: come il tagliere di affettati e formaggi del territorio, i crostini, le tagliatelle col ragù di carne, l’imprescindibile costata. Quello che stupisce è invece il sapore, che supera sempre di uno step quello che ti aspetti e diventa referenza. Perché la tradizione vince quando si alza il livello, quando quella portata è più buona di tante altre sinora provate. E da Beppa è sempre così. C’è poi un altro elemento da tenere in considerazione: la clientela, il comportamento della clientela. A casa di Valentina sono tutti rilassati, allegri, non si alzerebbero più da tavola: coppie, quartetti di amici e di amiche, ampie compagnie.

Siamo sulle colline di Firenze, dove il vento lieve accarezza l’immaginazione, di andare via non verrebbe più voglia nemmeno a noi. Tornando nel centro aulico di Firenze, andiamo a vedere come si preparano al futuro alcuni totem della cultura cittadina, vecchi e nuovi. D’obbligo partire dagli Uffizi, il museo dei musei, il più visitato in Italia e stabilmente nella top ten mondiale, 4,4 milioni di ingressi nel 2019. Poi l’anno seguente, superfluo ricordare la ragione, un calo del 72%, ma anche un miglioramento nel ranking mondiale, dal nono al settimo posto. La risposta più eloquente, e sorprendente, ai danni della pandemia è arrivata dalla comunicazione. La visita di Chiara Ferragni, per uno shooting fotografico di Vogue Hong Kong (16 luglio 2020), ha portato a una forte crescita dei visitatori della fascia 19/25 anni, e questo nonostante l’assenza delle gite scolastiche. Un successo da ascrivere all’intraprendenza del direttore Eike Schmidt, tedesco di Friburgo, il cui approccio, meno cattedratico ma originale e coraggioso, si è rivelato divisivo quanto sicuramente efficace. Tanto che, lo scorso anno, gli Uffizi hanno recuperato gran parte del pubblico perso nel 2020, ringiovanito le fila e avvicinato con vigore lo scenario dei social. Con buona pace di quella cultura parruccona che vorrebbe il patrimonio fiorentino congelato nei secoli. Una politica culturale retrograda che aveva lasciato l’istituzione priva di un sito Internet fino al 2015, primo anno della rivoluzione Schmidt.

A lui abbiamo chiesto su quali rotte intende operare nei prossimi mesi, e quali gli obiettivi in programma: «Gli Uffizi sono da sempre il Tempio del Rinascimento e non solo, a Firenze e nel mondo. Ma oggi sono anche diventati un museo all’avanguardia, immerso, come tutti lo siamo, nel Ventunesimo secolo. Il mio obiettivo da direttore delle Gallerie è stato, fin da subito, impegnarmi al massimo in questa evoluzione, cercando al contempo di rendere il museo sempre più accessibile, sempre più comprensibile, sempre più la “casa di tutti”. Con una particolare attenzione verso i giovani, cioè coloro che è più importante rendere appassionati del nostro incredibile patrimonio culturale e artistico, perché dovranno custodirlo e promuoverlo domani, così come noi lo stiamo facendo oggi. E dunque: adesso diamo tanto spazio all’arte contemporanea, assai poco presente agli Uffizi in passato, ma soprattutto abbiamo aperto una prospettiva contemporanea sui nostri magnifici tesori. Per raggiungere questo obiettivo, mettiamo tante energie anche nella comunicazione social proprio per aprire il museo ai nuovi linguaggi e alle nuove generazioni. Inoltre, abbiamo avviato importanti progetti di ampliamento del museo – tra qualche mese inaugureremo le nuove sale degli autoritratti degli artisti, dei quali abbiamo la più vasta collezione al mondo, e in autunno apriremo al grande pubblico, dopo anni di restauro, il Corridoio Vasariano – e una ricca offerta di mostre. Nel 2022 ricorre il cinquecentenario della nascita di Eleonora di Toledo, moglie del Granduca di Toscana Cosimo de’ Medici, che celebreremo con una vasta esposizione a lei dedicata, e torneranno, in Toscana e non solo, le iniziative dei progetti Uffizi diffusi e di Terre degli Uffizi, per portare opere dai nostri depositi al territorio».

Le geometrie lineari del centro storico

Tra gli spazi da scoprire del centro storico fiorentino merita la più grande attenzione il Museo Massimo Martini, suggestivamente collocato nell’ex chiesa di San Pancrazio, sulla piazza omonima. Il concetto ad personam che lo anima, e il luminoso allestimento su quattro livelli, offrono al visitatore la sensazione di essere in un immenso atelier d’artista, fino a poco prima abitato dal maestro, tra i principali scultori del Novecento. Le opere sono disposte per temi piuttosto che cronologicamente, intendendosi come “tema” più uno stato d’animo che un soggetto iconografico in senso stretto. Tutto ruota intorno all’imponente scultura Gruppo equestre dell’Aja, collocata nel l’epicentro e immersa nella luce naturale proveniente dalla grande vetrata. Ed è proprio la luce naturale che Marino considerava come vincolante elemento di lettura della propria opera. Questo criterio è pienamente accolto e sfruttato nel museo, i punti di osservazione sono molteplici, ovviando così all’avversione dell’artista per “l’opera sul piedistallo”. Gli ambienti del museo – completati dalla Cappella del Rucellai, con il Sacello del Santo Sepolcro e la cripta medioevale – offrono la cornice ideale per organizzare eventi privati, convegni, conferenze, cene private e presentazioni aziendali in un contesto di grande fascino e originalità. Dove le potenzialità di Firenze verso il moderno e il contemporaneo si esprimono pienamente è nel nuovo Museo Novecento, inaugurato nel 2014 e collocato emblematicamente in piazza Santa Maria Novella, proprio di fronte alla chiesa domenicana che conserva tali e tanti affreschi da far impallidire il patrimonio di intere nazioni europee. Così basta attraversare lo spazio tra i due edifici per collegare otto secoli di umana creatività. Il Museo Novecento ha sede nell’antico Spedale di San Paolo, del XIII secolo. Mentre Leon Battista Alberti realizzava la facciata quattrocentesca dall’altra parte della piazza, Michelozzo costruiva il porticato ispirato alla lezione brunelleschiana di Santissima Annunziata. Il sito è stato realizzato per accogliere, nel candore delle sale, una bella collezione permanente impreziosita con opere di: Lucio Fontana, Arturo Martini, Giorgio Morandi, Enrico Prampolini, Mario Sironi, Fillia, Ottone Rosai, Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Filippo de Pisis. Di spessore e originalità le mostre temporanee: come l’appena conclusa dedicata a Jenny Saville, artista britannica dalle opere mozzafiato, un Caravaggio dei giorni nostri. Mentre si può ancora visitare, fino al 10 aprile, Monte Verità. Back to Nature, dedicata all’utopistica colonia sul Lago Maggiore dove, all’alba del Novecento, vennero anticipati temi oggi attualissimi: l’ecologia dell’abitare e dell’anima, la cura del corpo in senso naturale, il vivere bio, l’alimentazione vegetariana. Di grande impatto emotivo l’esposizione, visitabile fino al 1° agosto, Le tre Pietà di Michelangelo. Non vi si pensa quanto sangue costa: per la prima volta vengono messe a confronto, vicina l’una all’altra, nella Sala della Tribuna di Michelangelo, l’originale della Pietà Bandini, di cui è da poco terminato il restauro, e i calchi della Pietà vaticana e della Pietà Rondanini, provenienti dai Musei Vaticani. A soli 17 chilometri da Firenze merita una visita, e anche una sosta senza fretta, Prato, il gioiello che non tutti conoscono.

Prato, la biblioteca comunale A. Lazzerini

Coi suoi 200mila abitanti è la seconda città della Toscana, da sempre legata all’industria del tessile, con un fermento culturale che può costituire un modello integrabile col capoluogo, ma anche un felice esempio a cui il capoluogo medesimo dovrebbe attingere. Se la conosci oggi, dopo essere stato a Firenze, ti stupisce innanzitutto per la maggiore vivacità delle sue vie nel centro storico. Meno legata al turismo internazionale della città del giglio, Prato guarda avanti coi suoi progetti strutturati da tempo. Il suo patrimonio culturale va oltre quello storico e monumentale per annoverare: sei teatri, tra cui il magnifico Metastasio, 12 biblioteche e tre università, di cui due straniere. L’austera e solida mole del Palazzo Pretorio domina il centro cittadino ed è tornata a essere sede del Museo Civico dal 2014. La sua collezione abbraccia un periodo che va dal Medioevo ai giorni nostri, con le sculture cubiste del lituano Jacques Lipchitz, recentemente acquisite. Numerose le mostre di rilievo che vedono la classicità dialogare con l’arte contemporanea: «Prato è stata al centro di una continua immigrazione, interna prima e dall’estero poi. Risulta perciò fondamentale che il museo possa servire a comprendere l’identità di una città attraverso le testimonianze vive e reali delle opere d’arte», scriveva nel 2015 Marco Ciatti. Quindi città intesa come sguardo rivolto verso il futuro, dove il passato si rivela un trampolino ideale. I due luoghi che maggiormente rispecchiano questa visione sono il Museo del Tessuto e il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci. Il primo, coi suoi 3600 metri quadri, si trova nei locali della ex Cimatoria Campolmi, fabbrica simbolo della vicenda tessile di Prato, situata all’interno delle mura medioevali cittadine. Un monumentale esempio di archeologia industriale, che, in seguito a un sorprendente intervento di restauro, ospita anche la biblioteca comunale A. Lazzerini, per un totale di 8500 metri quadri. Allestiti con gusto teatrale e illuminazione sapiente – le antiche macchine industriali sembrano esse stesse sculture – gli ambienti raccolgono oltre 7mila reperti: tessuti precolombiani, sete italiane ed europee dal XIV al XIX secolo, ricami e merletti, tessuti etnici, abiti e paramenti sacri, campionari tessili delle aziende storiche del territorio, tessuti contemporanei, materiali innovativi e sperimentali. Veniteci verso sera, quando, nell’ora blu, si illumina il cortile interno disegnato come un chiostro e dominato dalla verticalità siderale dell’antica ciminiera. Oggi il tessile è territorio d’elezione della comunità cinese – oltre 20mila residenti – che si può conoscere al Macrolotto, la Chinatown dove aggirarsi tra la frenesia degli showroom e gli infiniti microristoranti, alcuni d’autore. Quando arrivi al Centro Pecci, quasi non credi ai tuoi occhi: un’astronave leggera e imponente sembra essersi adagiata ai confini di Prato, nulla intorno le assomiglia, quell’anello dorato, sormontato da una torre vessillo, è qualcosa di alieno. Ma quando varchi la soglia comprendi l’essenza del progetto, qui il genius loci rivolge la propria attenzione esclusivamente al contemporaneo, al contemporaneissimo, meglio ancora all’indecifrabile futuro. Il Centro – ideato da Italo Gamberini e trasformato nel 2016 da Maurice Nio – è la prima istituzione italiana progettata da zero con l’obiettivo di presentare, collezionare, documentare e supportare le ricerche artistiche di arti visive e performative, cinema, musica, architettura, design, moda e letteratura. Tutte espressioni del contemporaneo che avvicinano le persone ai grandi temi della vita e della nostra società. Dall’apertura nel 1988 a oggi sono stati prodotti e ospitati più di 250 tra progetti espositivi e mostre – mediamente quattro in contemporanea – e sono state raccolte nella collezione oltre mille opere che mappano le tendenze artistiche dagli anni Sessanta in poi. All’interno dell’astronave ci sono 3mila metri quadri di sale espositive, un archivio, 60mila volumi della biblioteca specializzata, un auditorium, un ristorante, un bistrot e un teatro all’aperto. «Oggi, l’attimo fuggente, meglio se con vista sul domani, è ciò che conta. Col rischio dell’azzardo, con la soddisfazione perenne della scoperta», scrive Piero Ceccatelli in Prato. Le 100 meraviglie (+1). Le vie del gusto e dell’intrattenimento sembrano accordarsi idealmente col mood cittadino. A partire dalla Fabbrica in Pedavena Prato (www.fabbricainpedavenaprato.it), una birreria con cucina (ma non certo come le altre) dove va in scena il “suono del gusto”: pranzo, aperitivo, cena, pizzeria, snack fino a tarda sera. E in tavola c’è veramente di tutto, dai taglieri agli hamburger, alle rib all’americana; le pizze sono un piccolo capolavoro, soffici e fragranti, se te le servono a spicchi, come hanno fatto con noi, non ti alzeresti più da tavola. Il nome non è certo casuale, la Birreria Fabbrica in Pedavena è un luogo pensato per condividere il meglio delle birre artigianali, dalla classica Pedavena alla birra Dolomite. In questo luogo che racconta storia e genuinità, la colonna sonora e la musica dal vivo hanno un ruolo fondamentale, come l’impianto sonoro, da sala concerti, e gli arredi eleganti e funzionali, perfetti per un locale dove si sta in compagnia ma non ci si sente mai stretti. La Birreria ha aperto i battenti grazie all’impegno e alla volontà di tre imprenditori fiorentini che sul territorio hanno già raccolto il successo di Po’Stò Cafè, animando in totale sicurezza l’estate pratese: Aldo Settembrini, Antonio Laganà (il direttore) e Marcello Moretti. Abbiamo lasciato per ultimo Murà (www.muraprato.it) perché qua non c’è solo il futuro che avanza, ma quello che si è già affermato a soli tre mesi dall’inaugurazione. Diciamolo subito, difficile trovare qualcosa di simile in Italia e in Europa. Forse, cercando bene, a New York, ma in quel caso mancano le possenti mura di Prato, contro le quali si appoggia un locale dove si mangia molto bene, si vive un night set da vero clubbing, si respira l’arte contemporanea come in una galleria dove lo sguardo viene catturato in continuazione, si gustano cocktail da concorso, si viene per osservare ed essere osservati. Vi basta? E invece no, c’è di più. Il personale e il servizio sono all’altezza del contesto, un piccolo esercito perfettamente orchestrato che, nonostante i grandi numeri, bada a tutti senza un attimo di sosta.

Murà: night set, clubbing, cocktail e sapori certificati

Alla guida della nave, un terzetto ben assortito: direttore Antonio D’Onofrio, capo barman Joffrey Otoya Gerez, responsabile di sala Domenico Romanelli. La cucina è in stretta collaborazione con Foody Farm (www.foodyfarm.it): originalità della proposta basata sulla rivisitazione della tradizione toscana in maniera anticonvenzionale e sull’esperienzialità, oltre che su eccellenze del territorio. Significativamente, la campagna marketing sta facendo vivere il claim Murà sa quello che non è!, perché il locale non conosce etichette. È invece il risultato di un importante intervento di riqualificazione nel centro storico di Prato, in piazza San Marco, dove si trovava un’officina storica ormai abbandonata lungo le antiche mura. Murà è un luogo storico restituito alla città in maniera del tutto inedita. Il progetto di ristrutturazione ha salvaguardato le mura del XII secolo (il locale si sviluppa in lunghezza, dal bar, subito dopo l’ingresso, fino alla cucina a vista), introducendovi uno stile contemporary industrial dove materiali diversi, come cemento e metallo, vetrate luminose e pezzi d’arredo d’autore, convivono attraverso un armonioso gioco di contrasti che ben si addice a Prato, laboratorio visionario e coraggioso. All’interno del locale si sviluppano diversi spazi sorprendenti, come Studio 24, a cura di Murran Billi, artista e tatuatore di fama internazionale che coniuga l’arte del tatuaggio con la pittura. Ed è proprio l’arte in tutte le sue forme l’elemento dominante, come dimostra la grande scultura centrale del pesce realizzato in fil di ferro dall’artista Antonio Massarutto. Se l’arco della classicità non si tende per lasciare libera la freccia del nuovo, la battaglia è persa. Fabrizio Caramagna ha scritto: «Guardai l’Arno. Aveva centinaia di anni di civiltà, eppure scorreva come fosse nuovo, con l’aria giovane e senza pensieri che ha l’acqua quando fa l’acqua». E, pensateci bene, non è una guerra tra secoli e stili differenti, dove il Rinascimento deve difendere la propria assoluta e immutabile bellezza. Perché anche il Rinascimento fu una rivoluzione, non solo artistica ma civile, politica e sociale. L’antico di oggi è stato a sua volta nuovissimo e azzardato, giovane come l’acqua di Caramagna. Un viaggio tra i pionieri di Firenze e Prato è una rotta tracciata verso il futuro, ambizioso, bello, inevitabile.

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